BiFest 2016 - Concussion - Zona d’ombra, la recensione

La nostra recensione di Concussion, presentato al BiFest 2016

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A cura di Raffaele Caporaso

Concussion - Zona d’ombra è il secondo film da regista per Peter Landesman, dopo il lungometraggio Parkland, datato 2013. La pellicola narra una vicenda realmente verificatasi alcuni anni fa, che portò a una della conquiste più rilevanti, coraggiose e “sudate” della medicina moderna, portata all’attenzione del pubblico a seguito di un reportage del 2009 realizzato dalla giornalista Jeanne Marie Laskas per GQ e intitolato Game Brain.

La storia prende luogo a Pittsburgh, Pennsylvania, e inizia con la morte sospetta di Mike Webster, storico giocatore di football della squadra Pittsburgh Steelers, una delle più titolate della NFL. Morse, deceduto a soli cinquant’anni in condizioni di grande sofferenza psicologica e indigenza, soffriva da tempo di importanti disturbi psichiatrici, ai quali nessuno aveva saputo dare grande rilevanza prima del Dottor Bennet Omalu, brillante anatomopatologo e medico legale di nazionalità nigeriana e trasferitosi negli USA, incaricato(si) dell’autopsia sul cadavere dell’uomo. Tali esami, evidenziano infatti una progressiva degenerazione della materia cerebrale di Morse, che aveva innescato una catena di reazioni patologiche i cui effetti si manifestavano in disturbi come ansia, depressione, atteggiamenti maniacali, e così via. A seguito di tale drammatica scoperta, il Dottor Omalu si interessa seriamente al caso, andando ad apprendere che questo non è assolutamente un caso isolato, ma che anzi si era già verificato altre volte in passato, così come nel presente. Gli studi del protagonista portano alla scoperta di una nuova patologia, ribattezzata Encefalopatia Traumatica Cronica (CTE). I continui scontri e traumi al cranio ai quali i giocatori di football professionistico sono esposti sin dalla loro infanzia, infatti, sono la principale causa di tale malattia, che si verifica con una grande incidenza in questo mondo sportivo. Prende il via, dunque, una difficile crociata del protagonista, costretto a lottare contro l’establishment del football americano, una vera e propria “macchina fabbrica-soldi” negli Stati Uniti d’America, al fine di veder riconosciuti i suoi sforzi e le sue scoperte, per garantire maggiore conoscenza dei rischi ai quali migliaia di giocatori sono continuamente esposti. La battaglia di Omalu è dura e senza esclusione di colpi, andando a coinvolgere anche la sua vita privata, oltre che quella professionale.

Il titolo originale del film è Concussion, termine traducibile in lingua italiana come “commozione cerebrale”, trauma provocato dai forti e ripetuti colpi subiti ciclicamente dai giocatori di football nel corso della loro pratica. Curiosamente, però, è proprio la mancanza di “impatto” sullo spettatore il limite più grande di questa pellicola, il cui storytelling è spesso borioso e scontato. Il film procede infatti su binari già troppe volte battuti in lungometraggi che narrano storie di “vita vissuta”, con coraggiosi e prodi eroi americani disposti a lottare contro tutto e tutti, sacrificando qualsiasi cosa, in nome della giustizia e della verità, contro i “cattivi” di turno.

La storia vera di Concussion ha un contenuto molto importante, e potenzialmente travolgente, che però viene tristemente inscatolato in una sorta di format le cui dimensioni e capacità sono predefinite, divenendo un film assolutamente stereotipato. A conferma di ciò, troviamo un protagonista la cui anima è senza macchia e paura, che affronta (quasi) da solo degli avversari appartenenti a un “esercito del male” macchiettistico, una NFL ritratta come una lobby interessata solo alla propria ricchezza senza alcun interesse per tutto ciò che è umano.

Inoltre, è pedissequo, didascalico e retorico il continuo far riferimento alla fervente fede cristiana del protagonista e di sua moglie, soldati di Dio che nel proprio credo trovano forza e giustizia per la loro battaglia, battaglia sì di grande coraggio, ma anche talvolta romanzata in maniera faziosa, nel tentativo macchiettistico di dover necessariamente operare e ricalcare questa divisione tra “buoni” e “cattivi”, tra “giusto” e “sbagliato” agli occhi dello spettatore.

La sensazione che la visione di questa pellicola genera è dunque quella di una favoletta moderna, sul modello impostato da Esopo millenni fa, con tanto di morale incorporata. E lieto fine, ovviamente.

La verità è che questo film manca di mordente, e ciò è un peccato perché il materiale di partenza presentava buone opportunità per una buona riuscita. A venire maggiormente penalizzata da tutto ciò, oltre che una regia attenta, è la buona performance del protagonista Will Smith, davvero ispirato nell’interpretazione del personaggio di Omalu, a iniziare dal curato accento nigeriano che l’attore dimostra di aver studiato attentamente. Le forzature di Concussion, però, si avvertono anche a livello dell’interpretazione del cast, a iniziare da un protagonista troppo morigerato e così perfetto da mancare paradossalmente di umanità, sino ai comprimari, ognuno con un suo ruolo predefinito e privo per questo di spessore e sfumature, ognuno che si muove sul palcoscenico di un teatrino il cui spettacolo sappiamo già dove andrà a parare sin dai primi minuti.

In conclusione, quindi, Concussion - Zona d’ombra, pur non essendo un lungometraggio davvero insufficiente, ristagna in quell’affollato limbo di pellicole insipide destinate a essere dimenticate dopo la visione: a conti fatti, tanta “cerebralità”, ma poca “commozione”.

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