Biancaneve e il cacciatore, la recensione
Lanciato sull'onda di Alice in Wonderland ma ben più riuscito, questa Biancaneve non ha niente a che vedere con quel che ricordate, è solo un altro buon film fantasy...
Il secondo film su Biancaneve di quest'anno, come sanno anche le pietre, è di tono completamente opposto a quello in cui Julia Roberts interpreta la regina cattiva, sebbene diretto sempre da qualcuno che proviene dalla pubblicità.
Biancaneve e il cacciatore fa il lavoro che le storie fanno in un'era in cui lo spettatore preferito da tutte le major è il nerd (che in maniera "politicamente corretta" oggi amiamo chiamare geek, noncuranti del fatto che quel termine indica qualcosa di un po' diverso): spiega e fornisce dettagli.
Andando a pescare un po' nelle asperità della favola dei Grimm (quelle rimaste fuori dal cartone Disney e dai successivi adattamenti) e cambiando il peso dei vari ruoli, a partire da quello del cacciatore, questa nuova versione è talmente qualcosa di altro da Biancaneve come la conosciamo, da essere a tutti gli effetti una storia e un film a sè, poteva anche non avere quel titolo e quei personaggi.
E' una storia che ha poco a che vedere con la metafora madre/figlia e più con quella della predestinazione e la responsabilità individuale (come tipico del fantasy) e che soprattutto sceglie di lasciar interpretare i nani a sette attori britannici, quasi tutti di formazione teatrale, in uno sforzo d'originalità riuscito che bilancia la prestazione scialba (e non molto diversa da Twilight) di Kirsten Stewart.