Better Call Saul 1x10 "Marco" (season finale): la recensione

Ultimo episodio dell'anno per Better Call Saul: lo spin-off di Breaking Bad ci saluta fino alla seconda stagione

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Spoiler Alert
In queste giornate in cui si addensano brutti nuvoloni sul futuro di Twin Peaks, possiamo trovare un po' di conforto nella bella riuscita di Better Call Saul. Generi e storie completamente agli antipodi, ma in entrambi i casi nascono in risposta ad una necessità avvertita nel pubblico, quell'esigenza nel non riuscire a lasciare andare gli universi immaginari ai quali ci siamo affezionati, a desiderare di volerne ancora di più. Cosa sarebbe stato lo spin-off di Breaking Bad nessuno poteva dirlo alla vigilia, anche se la sensazione generale e la prima idea che balenava nella mente era che forse ci saremmo trovati di fronte ad una serie di casi slegati che il nostro Saul avrebbe risolto prima di passare al big one con Walter e Jesse. Ma Vince Gilligan non è uno dei migliori autori televisivi per caso, e le sorprese sono sempre dietro l'angolo.

Marco, ultimo episodio dell'anno, è più un epilogo della prima fase della storia, che un'anticipazione degli eventi della seconda stagione già confermata. Spinto, forse giustificato, dalla delusione causata da Chuck, Jimmy si dissolve e al suo posto lascia emergere l'ombra di Saul, che si allontana verso i titoli di coda lasciandosi alle spalle un'offerta alla quale poco tempo prima non avrebbe mai rinunciato. Il resto è un episodio senza rivelazioni, senza grandi svolte, senza chiarimenti o sviluppi dell'ultimo secondo. Dopo nove episodi come i precedenti, non è una scelta che sorprende: il climax della storia e delle emozioni è stato raggiunto la settimana scorsa, stavolta si tratta solo di raccogliere i pezzi, dire addio alla vecchia vita e abbracciare il futuro.

Come già detto tante volte quest'anno, ad Albequerque si gioca con le maschere e le identità. La prima e forse più importante vittoria della serie è stata quella di prendere un personaggio simpatico e dirompente, ma monodimensionale, come Saul, e lavorare a 360° per renderlo vivo. Non più macchietta, ma una figura costruita tra flashback del passato, analisi del presente e consapevolezza del futuro. E a tutto questo far corrispondere altrettante identità (Slippin' Jimmy, Jimmy McGill e Saul Goodman) come sfumature di un identico personaggio. E in questo finale c'è un po' di tutto questo. Rimane la soddisfazione nel momento in cui Howard della HHM esamina la lista di cose da fare per Chuck e prova un moto di ammirazione per Jimmy, rimane il fantasma di un impossibile ritorno alla vecchia vita fatta di truffe da strada, rimane un monologo al bingo nel quale si strizza l'occhio allo spettatore con un rimando al Belize, rimane la decisione finale di prendere in mano la propria vita e trarne il meglio per se stessi.

Per il resto tutto è subordinato alla decisione finale di Jimmy. La morte improvvisa dell'amico, l'offerta dello studio tramite Kim, tutto serve a chiudere in fretta questa prima fase, passaggio obbligato per un futuro molto atteso. C'è poco da dire su questo finale, che in fondo non aveva molto altro da aggiungere ad una stagione che già aveva convinto fin da subito. Abbiamo avuto tre primi episodi fulminanti per bellezza, ritmo ed equilibrio, ai quali è seguita una parte centrale in generale più sottotono, ma con parecchi momenti da ricordare. Better Call Saul non ha rinunciato alla sua natura di spin-off, non può farlo, e i continui riferimenti alla serie madre sono lì a confermarlo, ma ha dimostrato di possedere un proprio equilibrio e di poter camminare sulle sue gambe. Interpretazioni e livello tecnico da brividi per questa dramedy da 40-50 minuti (categoria particolarissima nella quale tranne forse Orange is the New Black è difficile inserire altri show). La serie forse più attesa dell'anno ha vinto la sua scommessa, e di questo non possiamo che essere felici.

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