[Berlino 2014] Monuments Men, la recensione

Delude Clooney, che pare aver scelto tutto bene (dal cast, all'obiettivo, fino al tono del film) ma sbaglia la realizzazione, mescolando male i toni senza mai toccare la raffinata leggerezza...

Critico e giornalista cinematografico


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Accademici, studiosi, architetti, registi di musical e studenti d’arte, i 7 uomini che parteciparono realmente all’operazione Monuments men (nomignolo ampiamente preso in giro nel film), nonostante non più giovani in linea di massima, e di certo poco addestrati, si dividono per il vecchio continente alla ricerca delle opere più importanti, in uno sforzo che per alcuni è il riscatto di una vita.

Non c’è dubbio sul fatto che George Clooney nella sua carriera da regista sia riuscito a farsi interprete del cinema migliore, anche se spesso con film non ottimi. Senza aver mai azzeccato il capolavoro ha elaborato ampi pezzi di storia americana con film tra il passato e il presente dotati del spirito più adatto, il più civile e il più umano, senza inoltre risparmiare al suo paese aspre critiche. Ora con Monuments men invece non si fa remore nel celebrare quel che l’America ha fatto per il mondo e per la storia, contrapponendo con decisione quell’etica e quella morale ai deprecabili corrispettivi nazisti e comunisti (in questo, per esempio, Il treno di John Frankenheimer, che pure trattava lo stesso argomento, sapeva essere decisamente più sottile).

Con il medesimo tono dolce e amaro del suo sorriso da attore (tra tutte le sue espressioni la più distintiva), Clooney racconta una serie di “storie di guerra” incorniciate dall’essere state parte della vera operazione “monuments men” e unite dal filo rosso della ricerca di una madonna con bambino di Michelangelo. L’obiettivo è dare una risposta alla domanda che tutti pongono ai protagonisti dall’inizio alla fine: “Vale la pena rischiare vite umane per salvare un quadro o una cattedrale?”. Basterebbe lo sforzo estremo (e a tratti commovente) dei protagonisti, inadatti alla guerra, poco coraggiosi d’indole ma dotati di un rigido ordine di priorità in cima alle quali c’è l’arte, a rispondere che “Sì, ne vale la pena!”, tuttavia Clooney ci tiene ad avere una chiusa didascalica, in cui pone di nuovo la domanda e gli fornisce una risposta effettiva. A parole. Un’espediente davvero da poco che ben simboleggia la poca cura che domina in tutto il film.

Perchè quel che affossa realmente Monuments men è il mancato equilibrio di farsa e dramma, serietà e facezie (e in questo non aiutano nemmeno i navigati attori tragicomici come Bill Murray e John Goodman). E’ evidente come George Clooney avesse in mente un film nostalgico delle opere anni ‘60, con le musiche di Alexandre Desplat che usano fischiettii per condurre i temi e con un continuo sdrammatizzare la tragedia, ma l’impresa sembra superiore alle sue forze. Cercando di far sorridere a tutti i costi, Monuments men si mostra tutt’altro che sicuro di sè e tutt’altro che sofisticato nel proporre una visione di mondo e di cinema. Concepito con un tono generale di sfiducia e di senso di fallimento per almeno metà della sua durata (quando nessuno crede nell’impresa e a tutti pare importare unicamente dell’oro e della propria salvezza in barba a qualsiasi considerazione culturale), il film muta assieme ai primi ritrovamenti, virando verso le macchiette e una simpatia che non è per nulla sinonimo di sottile ironia ma più di goffo imbarazzo.

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