[Berlino 2014] La bella e la bestia, la recensione

Il remake della fiaba smussa le componenti più spietate dell'originale verso i legami familiari e si concentra quasi solo sulla sua protagonista, dimenticando la bestia...

Critico e giornalista cinematografico


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Gli americani stanno da tempo riscrivendo per lo schermo le fiabe tradizionali del cinema, portandole ad un nuovo pubblico con toni avventurosi e (in teoria) più complessi della semplice fiaba facendole spesso sconfinare nel fantasy. I francesi invece decidono di prendere una loro fiaba tradizionale e, lavorando alla medesima maniera sul rinnovo dell'impianto visivo prima di tutto, spingono l'acceleratore sul favolismo sognante.

Dunque, considerato che l'intento è palesemente di realizzare una fiaba che sia ancor più favolistica del cartone Disney, risulta subito deludente l'idea di acquietare i toni della storia originale.

Christophe Gans attinge infatti alla versione canonizzata nel '700, quella con Bella figlia di mercante, dotata di sorelle arpie e che vede il padre stesso come responsabile involontario del suo imprigionamento. Tuttavia ne omette le parti più aspre (quelle che come spesso avveniva nelle fiabe implicavano la meschinità dei parenti dei protagonisti) e aggiunge un villain dipinto malissimo (accompagnato da un'inspiegabile cartomante/amante) per poter avere le grandi scene d'azione finale, la cui estetica saccheggia senza ritegno la serie di videogiochi God of War, risultando evidentemente stonata con il resto.

Infatti La bella e la bestia fino a quel momento è condotto sul terreno della fiaba colorata al computer, illuminata da un eterna alba ed eterni tramonti quando non da notti di luna piena, giocato sulla tenerezza dei volti e lo sfarzo degli interni, la saturazione di colori e un'attenta scenografia che alterna petali di rose a ragnatele, senza dimenticare mai il simbolismo degli ambienti (c'è un buco nella caverna a forma di immensa vagina).

Eppure non sono questi dettagli a rendere indigesto questo veicolo di romanticismo a tutti i costi, quanto la sua difficoltà nel portare avanti la storia. Si comprende infatti quasi subito come sia un film girato intorno a Lea Seydoux dal padre Jerome Seydoux (lei è molto più protagonista di Vincent Cassel), intorno al suo corpo e alle sue espressioni, ai suoi corsetti stretti, ai molti abiti principeschi e alle capigliature riccie, anche a costo di sacrificare quel po' di rapidità che potrebbe giovare alla fruizione della storia.

In un film basato su un'attrazione brutale e passionale infatti non si comprende mai a fondo come e quando la bestia si sia innamorata della bella, tanto questo avviene subitaneamente e con la minima esposizione di mutamenti. Invece è molto più curato il lento cadere di Bella per la grazia e l'umanità della bestia. Però a quel punto il gioco funziona molto meno e annoia molto, ma molto di più.

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