Berlino 2013: Don Jon's Addiction, la recensione

Debutto con il botto per Joseph Gordon-Levitt. Il suo film non solo è bello, inventivo e inusuale ma racconta anche un'umanità finalmente diversa dal solito...

Critico e giornalista cinematografico


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Quel che ti aspetti da un film diretto da un attore è che ogni soluzione di scena, ogni svolta, ogni elemento carico di senso sia veicolato attraverso la recitazione, che insomma la componente più "evidente" della messa in scena sia caricata di responsabilità in maniera sproporzionata. Invece non è questo il caso dell'esordio di Joseph Gordon-Levitt alla regia. In Don Jon's Addiction, il grosso del lavoro infatti lo fa il montaggio (inventivo, rapido, originale e capace di creare inedite soluzioni umoristiche), seguito da una scenografia minuziosa e solo poi dalla recitazione.

Il regista si ritaglia un ruolo da protagonista complesso, inusuale e molto preciso com'è ragionevole aspettarsi, si tratta però anche di una figura poco convenzionale e poco cantata dal cinema. Jon, il Don del titolo (quello con la dipendenza) è un coattone italoamericano, un bulletto tutto palestra, auto, chiesa, casa pulita, ritualità fisse, rimorchi in discoteca e soprattutto porno. Una valanga di porno. E' questa l'addiction del titolo, una passione sfrenata per la masturbazione attraverso pornografia trovata in rete, a livello di praticarla di nascosto anche subito dopo aver fatto vero sesso. Johnny teorizza la superiorità del porno sul sesso vero, Johnny idolatra il porno, lo confessa ogni domenica e in settimana tenta di battere il proprio record.

Intorno a questo svolgimento fisso (palestra, porno, auto, discoteca, rimorchio, sesso, porno e poi domenica in chiesa, pranzo dai genitori e di nuovo palestra...) ruota il film, ritmato da un montaggio che di volta in volta trova nuovi percorsi e inventa abbinamenti semantici (l'immagine delle salviette igienizzanti buttate dopo l'uso con il suono del cestino del computer o il suono d'accensione del Mac abbinato allo stimolo sessuale). Con umorismo devastante che quasi mai sta nelle parole ma spesso è nelle scenografie, in uno stacco di inatteso, in un'espressione prolungata all'eccesso e in paradossi drammatici, Joseph Gordon-Levitt racconta la più canonica delle storie e delle parabole in una maniera che forse vorrebbe essere più originale di quanto non sia ma che comunque trova un proprio felicissimo percorso personale.

Forse allora il segreto del film e il suo vero senso stanno tutti nella bellissima scena al cinema, in cui il protagonista è costretto dall'unica donna di cui si sia veramente innamorato (una strepitosa e anche lei coattissima Scarlett Johansson) a vedere la più classica delle commedie romantiche. Nel finto film (interpretato da un cammeo di Anne Hathaway e Channing Tatum) dei personaggi vivono le solite situazioni, si conoscono, si innamorano follemente, litigano, si riappacificano e si sposano, mentre il nostro protagonista si chiede chi creda a simili cretinate, chi le ritenga significative e perchè non si possano raccontare altre storie in altre maniere.

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