Berlino 2012: In the Land of Blood and Honey, la recensione

Non fosse stato un film scritto e diretto da Angelina Jolie, forse In the Land of Blood and Honey sarebbe pure piaciuto a qualche critico...

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Non fosse stato un film scritto e diretto da Angelina Jolie forse “In the Land of Blood and Honey” sarebbe pure piaciuto a qualche critico. E invece, sia nelle tante presentazioni precedenti alla Berlinale, che proprio al festival del cinema della capitale tedesca, tutti hanno storto la bocca. “Banale”, “americano”, “pretenzioso” e così via. Sono tanti i difetti del film che le si contestano, molti sono gli stessi che si dicono in anticipo prima di aver visto il film, basandosi semplicemente sull’intuito. La domanda, a fine visione, quindi è: il suo esordio da regista di una pellicola di finzione (aveva già diretto il documentario A Place in The Time nel 2007) si merita tutto questo ostracismo generale? La risposta è no, almeno non per le ragioni suddette.

Ci vuole coraggio ad affrontare un tema così vicino nel tempo e ancora capace di scatenare dibattiti, e anche qualcosa di più, tanto a livello geopolitico che della società civile. Serbia e Bosnia sono due entità nazionali distinte solo fino ad un certo punto. La repubblica Srpska fa ancora parte della Bosnia e le responsabilità del massacro di Srebrenica sono sì acclarate, ma solo fino ad un certo punto. La Jolie entra quindi a gamba tesa in una ferita ancora non rimarginata. Il suo spunto non è un fatto vero, ma inventato, ovvero una tormentata relazione tra una mussulmana e un ufficiale serbo. Tra di loro ci fu qualcosa prima dell’inizio della guerra, ora si ritrovano su lati opposti: lei è prigioniera dei serbi e lui è praticamente il suo carceriere. Gli echi di Il portiere di notte di Liliana Cavani sono però lontani. Qui la storia vive una sua unità temporale completamente racchiusa all’interno della prima fase della guerra dei balcani, quella che va dal 1992 al 1995. La Jolie gira bene le scene di guerra e ha anche la giusta crudezza, ma senza ostentare troppo, quando racconta stupri e soprusi vari. Rallenta troppo il ritmo di ogni sequenza, quasi a volersi smarcare da un modo di fare cinema americano che forse non approva fino in fondo, non almeno per questo tipo di storia, ma per un debutto ci può stare.

Il problema vero è però in fase di sceneggiatura. Se anche lo scheletro narrativo si può dire che regga, con la storia sentimentale tra i due a far da pretesto per raccontare “la Storia”, quella vera, troppe volte le varie fasi del racconto fanno un passo avanti per farne tre indietro, i dialoghi sono spesso didascalici e le oltre due ore di visione alla fine sembrano più del doppio. Peccato. Ciò non toglie che poche volte si era descritta con tanta ludicidità e mezzi (anche i soldi servono per raccontare certe storie) un pezzo importante di una guerra che, da italiani, ci è lontana circa solo un’ora e mezzo d’aereo. Che non sia l’unica prospettiva da cui guardarla, che i serbi possano criticarla e ritenerla oltremodo faziosa è legittimo e forse anche giusto. Ma non sta al critico giudicare e, una volta accettato che ci può essere un punto di vista come quello scelto dalla Jolie, In the Land of Blood and Honey risulta un film sicuramente interessante da un punto di vista storico, ma comunque bruttino per ragioni cinematografiche. Al pubblico decidere quali dei due parametri mettere come priorità di giudizio.

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