Berlino 2012 - La chispa de la vida, la recensione
Ridimensionato nelle ambizioni e nell'umorismo rispetto al suo solito, ma forse più cinico che mai, il nuovo film di Alex de la Iglesia parla di lamine di ferro conficcate nel cranio...
Ci sono due Alex de la Iglesia, uno che pensa in grande e realizza affreschi ambiziosi ed epici (ultimo dei quali La ballata dell'odio e dell'amore) e uno che pensa in piccolo e fa film su piccoli fatti. In entrambi i casi la sua prospettiva è sempre la stessa: l'inferno sono gli altri, la vita del singolo è distrutta dalle continue ingerenze della massa.
C'è un momento in cui de la Iglesia inquadra il suo protagonista infermo sulla grata in una posizione da Cristo crocefisso. Il suo però non è un sacrificio per l'umanità quanto per se stesso. Incapace di essere all'altezza delle aspettative che aveva per sè (ha perduto il lavoro e non lo trova più), sta vendendo consapevolmente il suo corpo alla televisione per quel che può, l'ultima possibilità per lui di fare dei soldi.
Il modo in cui Alex de la Iglesia usi un umorismo senza la minima pietà, per comunicare la più cinica, pessimista e indigeribile delle idee, ovvero che il peggior nemico dell'uomo è la società nel suo complesso e che la vittima stessa sia parte integrante di questo sistema deleterio, ha sempre del fantastico. Anche se privo di Jorge Guerricaechevarria (sceneggiatore fenomenale che in passato aveva molto collaborato con il regista), de la Iglesia mette in piedi uno script di rara cattiveria, in cui il divertimento non è eccessivo ma ogni battuta è una stilettata e in cui ogni occasione per portare in basso i suoi personaggi (soprattutto il protagonista) viene sfruttata.
Questa caratteristica fissa (ma sempre sorprendente) del suo cinema è quella che lo rende davvero insostituibile.