Berlino 2012: Diaz - Don’t clean up this blood, la recensione [1]
Applaudito più dagli italiani che dal resto del pubblico alla Berlinale, Diaz di Daniele Vicari riesce a ricreare quanto accadde il 21 luglio 2001 a Genova...
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“Non aggiunge nulla a quanto già non si sappia” è il commento di due giornalisti, uno francese, l’altro ungherese mentre si esce dalla sala. Strano, da italiano ho visto finalmente una storia di cui avevo sentito parlare e letto tante volte, ma mai così in fondo, mai provando lo stesso disgusto. All’estero invece sembra che queste informazioni e sensazioni, il post G8, Diaz e Bolzaneto, siano già state metabolizzate e diventate fatto accertato. “Per farci un film sopra bisognerebbe aggiungere qualcosa di nuovo, non rimestarle e basta”.
Non si può negare che il punto di vista, come del resto hanno fatto già alcune condanne, sia accusatorio nei confronti di quei poliziotti che fecero irruzione nella scuola e, successivamente, “torturarono” alcuni degli arrestati, ma Vicari e la cosceneggiatrice Laura Paolucci riescono ad essere comunque freddi nel mostrare le responsabilità e quando il film va a ritroso, ovvero spiegando come e quando si arrivò alla decisione di attaccare la Diaz, la sensazione generale è che, ai piani alti, ci fosse prima di tutto tanta stupidità ancora prima della cattiveria (comunque presente). Vicari gira il tutto senza risparmiare su esterni, esplosioni, riprese (anche dall’elicottero), trucco e colonna sonora. Il suo film ha la fattura della grande produzione e, sapendo di come Rai Cinema e Medusa si siano rifiutate di affiancare la Fandango nella realizzaione di questo progetto, questo aspetto non può che far piacere.
Anche grazie a questa confezione le due ore e dieci di pellicola scorrono fluide e ritmate come se si trattasse di un thriller. Peccato solo che, in questo caso, non ci sia nessun assassino da individuare, la suspense è legata all’indovinare quando l’incubo sarà finalmente finito e l’empatizzazione con le vittime è totale. Commozione e sdegno sono impossibili da evitare. La scelta di puntare molta attenzione sui personaggi stranieri, tedeschi, francesi, spagnoli, ecc, nonché il titolo in inglese, lasciano pensare che il progetto di una distribuzione all’estero sia molto più che una semplice speranza. Da italiani non ci facciamo una gran figura, ma sono discorsi da fare quando si tratta di rappresentare un punto di vista importante di una verità ancora non del tutto chiarita dalle nostre parti?