Berlino 2012 - Cherry, la recensione

Si può fare un film casto sulla sceneggiatura autobiografica di una pornostar? Cherry di Lorelei Lee e Stephen Elliott non osa e non convince...

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Lorelei Lee come Diablo Cody? Sarebbe stato bello, anche se di differenze ne corrono parecchie.

La prima è stata (ed è tuttora) una pornostar, la seconda al massimo una spogliarellista. Entrambe hanno sempre amato scrivere, ma se l’esordio della Diablo Cody sceneggiatrice è stata una storia quanto mai casta e lontana dal suo passato professionale (Juno), quella di Lorelei Lee è invece più che mai autobiografica.

“Cherry” infatti è il nome d’arte utilizzato da una giovane diciottenne che da una cittadina di provincia si trasferisce a San Francisco e decide di entrare nel mondo del porno. Logicamente parliamo di una ragazza con la testa a posto, gentile, disponibile, amante della famiglia e inizialmente spinta a darsi al porno da quella solita serie di problemi famigliari (mamma alcolista, papà violento che fantastica violenze sulle due figlie) che da sempre giustificano le scelte estreme delle ragazze di provincia americana. Se poi ci mettiamo un primo fidanzato prima la spinge a fare qualche scatto osé per poi rimangiarsi tutto (“Non voglio che tu continui così!”) e un secondo che è avvocato, ma cocainomane e la trasgressione gli va bene solo quando c’è lui al centro di tutto, ecco servito un piatto piuttosto banale di situazioni e riflessioni per il quale non c’era bisogno dello sguardo di un’esperta come Lorelei Lee.

Chissà, forse ad avere “addolcito la pillola iniziale” è stata la collaborazione con Stephen Elliott, regista e co-sceneggiatore di Cherry. Il suo modo di ritrarre tutta la storia è analogo a quello con cui si approccia alle immancabili scene di sesso, ovvero senza crederci fino in fondo, quasi che si trattasse di un film della Disney. La storia offriva molti pretesti per dire e mostrare qualcosa, ma neanche il canonico concetto di “purezza vs vendita del proprio corpo” viene indagato da una storia che per raggiungere i canonici 90 minuti di pellicola raccoglie ricorre al disordinato racconto delle vite che stanno intorno alla protagonista.

Ecco quindi la regista lesbica che vive la fine della relazione con la sua storica compagna, ecco la mamma con la figlia piccola che non parla più da quando la sorellona si è trasferita, ecco il coinquilino gay ed ecco, soprattutto, l’amico represso, l’unico ad avere una bella battuta nel film (quando la protagonista lo trova a masturbarsi davanti a un suo film, lui grida disperato: “Possibile che sia l’unico al mondo a cui non è concesso guardarti nuda?”). Insomma, le Boogie Nights con Mark Wahlberg sono lontane anni luce sia per forma che per contenuti ed è un peccato visto che il cast, sulla carta, non era niente male, con James Franco, Dev Patel (The Millionaire) ed Heather Graham (sempre presente quando c’è da timbrare il cartellino in qualche scena di nudo) a fare da contorno alla bella Ashley Hinshaw che si spoglia, si tocca e forse ce la mette tutta, ma che per risultare un po’ credibile sarebbe dovuta essere diretta in un altro modo.

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