Berlino 2012: Bel Ami, la recensione

Nell'adattamento del romanzo di Guy de Maupassant, Robert Pattinson viene messo a dura prova da un film che da lui vuole molto, forse anche troppo...

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"Quando la cassiera gli ebbe dato il resto dei cinque franchi, Georges Duroy uscì dal ristorante. Siccome aveva un bel portamento, sia per natura, sia per posa di ex sottufficiale, si impettì, si arricciò i baffi con un gesto militaresco abituale, e girò su quelli che stavano a tavola uno sguardo rapido e circolare, uno di quegli sguardi da bel giovane, che si stendono intorno come una rete nell’acqua”.

Così scriveva nel 1985 Guy de Maupassant all’inizio del suo secondo romanzo, Bel Ami ora divenuto (nuovamente, è la quarta volta) film grazie alla sceneggiatura di Rachel Bennette. Al di là degli autori (registi sono Declan Donnellan e Nick Ormerod), vero catalizzatore del progetto è senza dubbio Robert Pattinson, l’idolo delle migliaia di ragazzine che lo hanno amato in Twilight e che è alla ricerca di un ruolo di successo che non sia quello del vampiro.

E’ lui forse l’unico Bel Ami possibile oggigiorno, ovvero un attore capace semplicemente con il proprio fascino (vero o indotto che sia) a rappresentare la storia di un giovane ex soldato francese nella Francia di fine XIX secolo che, senza particolari talenti, riesce a farsi strada nell’alta borghesia parigini a forza di strategiche conquiste di donne. Bel Ami del resto non è il suo vero nome (che invece è quel Georges Duroy trasformato ben presto nel presuntuoso Georges Du Roy - ovvero “del re”), ma solo il vezzeggiativo con cui diventa celebre nell’ambiente. Per Guy de Maupassant era la personificazione dell’arrampicatore sociale e il film fa altrettanto anche se, rispetto al libro Duroy è, se possibile, ancora più sfacciatamente ambizioso.

Tutto avviene più rapidamente, dai corteggiamenti alla pianificazione del suo futuro e si potrebbe anche dire che sia legittimo, per un film, ridurre e tagliare il materiale di partenza, ma in questa corsa verso il finale si perde anche quell’incontro con i genitori che meglio di qualsiasi discorso avrebbero spiegato meglio le ragioni della continua sete di ricchezza del protagonista. Peccato, ciò non toglie che il film abbia dei suoi punti a favore, trova un giusto equilibrio tra dramma, grottesco e commedia (molte scene sono palesemente autoironiche e non involontariamente comiche come forse alcuni potrebbero pensare) e scorre fluido per i suoi cento minuti senza annoiare particolarmente.

Donnellan e Ormerod chiedono davvero molto a Pattinson, forse troppo. Indugiano continuamente sui primi piani e lo sollecitano a fare ogni tipo di espressione corrucciata possibile. Il rischio che non lo si prenda sul serio è sempre dietro l’angolo e dipende più dalla voglia o meno di crederci dello spettatore la possibilità di godersi o meno il film. Sarebbe impietoso giudicare il suo talento solo da questa perfomance, anche se di certo non si può dire che sia un test superato. Probabilmente solo con il prossimo Cosmopolis, diretto da David Cronenberg, potremo finalmente capire se c’è un futuro di qualità per lui ad Hollywood a dintorni.

Da notare con piacere invece è il ritorno di Christina Ricci a una prova carina, dolce e “normale” come non la si vedeva da tempo, e la sempre affascinante bellezza di Uma Thurman. A quarantuno anni la sua stella continua a brillare davvero più di tutti gli altri attori che le stanno intorno.

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