Berlinale 2019 - The Operative, la recensione

Un film di spionaggio con linea sentimentale che crede molto più alla sua parte romantica che a quella spionistica, The Operative non convince, si contraddice, irrita

Critico e giornalista cinematografico


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Diane Kruger non è una vera spia ma Martin Freeman, veterano dell’amministrazione e gestione delle spie, burocrate esperto di trame interne all’agenzia di spionaggio e non tanto un agente sul campo, le insegna il mestiere, le assegna missioni e la vede migliorare visibilmente, imparare il mestiere e maturare la fiducia per una missione rischiosa. Già presupposti e cast sono improbabilissimi. Diane Kruger si infiltra in Iran come insegnante d’inglese ma la missione in realtà è raccogliere informazioni su una società a cui l’occidente vende componente difettate per fabbrica un’atomica. Farà molto di più.

Tra avanti e indietro nel tempo, tra un presente in cui Martin Freeman è interrogato per capire che ne è stato dell’agente da lui sponsorizzato, che ha fatto e perché non si trovi più, e un passato che invece ci mostra come i due siano entrati in contatto e che cosa facesse lei, vediamo una specie di formazione e nascita di una spia. Il punto è giocare con i dubbi dello spettatore, ma davvero poco c’è da dubitare in una storia immediatamente così canonica per il proprio genere.
Ci sarà la suspense e ci saranno sia i doppi giochi che i sospetti di doppi giochi con la differenza che The Operative ci tiene molto alla parte sentimentale della spia.

Più che appassionarsi all’intreccio, a come qualcosa di molto reale e concreto possa assumere intrecci talmente inesplicabili che anche chi ci è dentro finisca per non capire più nulla di cosa sia vero e cosa no, quel che interessa al film è cosa accada alla donna che deve decidere tra l’uomo di cui è innamorata e la propria missione. Vorrebbe condurre il gioco a modo proprio la spia, spezzare le catene che la costringono a scegliere ma ovviamente non può e qui scattano le concessioni.

In questo film molto concentrato sulle questioni interne dell’agenzia di spionaggio, i cambi di capo, la politica, le operazioni, la burocrazia, il margine d’azione di chi decide, c’è l’implausibilissimo tentativo di una spia di non fare il proprio lavoro senza subirne le conseguenze. Di fatto è difficilissimo empatizzare con la protagonista perché solo da un certo punto rifiuta qualcosa (l’etica della spia, la vita a servizio del paese) che fin dall’inizio aveva scelto conoscendone le implicazioni. E questo avviene per un indefinito amore che tuttavia non sentiamo mai veramente, perché The Operative non è una vera storia d’amore ma un film di spionaggio con una linea sentimentale, che è ben diverso. E alla fine non riesce ad essere davvero né l’uno né l’altro.

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