Berlinale 2019 - The Operative, la recensione
Un film di spionaggio con linea sentimentale che crede molto più alla sua parte romantica che a quella spionistica, The Operative non convince, si contraddice, irrita
Tra avanti e indietro nel tempo, tra un presente in cui Martin Freeman è interrogato per capire che ne è stato dell’agente da lui sponsorizzato, che ha fatto e perché non si trovi più, e un passato che invece ci mostra come i due siano entrati in contatto e che cosa facesse lei, vediamo una specie di formazione e nascita di una spia. Il punto è giocare con i dubbi dello spettatore, ma davvero poco c’è da dubitare in una storia immediatamente così canonica per il proprio genere.
Ci sarà la suspense e ci saranno sia i doppi giochi che i sospetti di doppi giochi con la differenza che The Operative ci tiene molto alla parte sentimentale della spia.
Più che appassionarsi all’intreccio, a come qualcosa di molto reale e concreto possa assumere intrecci talmente inesplicabili che anche chi ci è dentro finisca per non capire più nulla di cosa sia vero e cosa no, quel che interessa al film è cosa accada alla donna che deve decidere tra l’uomo di cui è innamorata e la propria missione. Vorrebbe condurre il gioco a modo proprio la spia, spezzare le catene che la costringono a scegliere ma ovviamente non può e qui scattano le concessioni.