Berlinale 2019 - The Kindness of Strangers, la recensione

A New York diverse storie di persone bisognose d'aiuto si incrociano senza che The Kindness of Strangers decolli mai davvero

Critico e giornalista cinematografico


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La maledizione di Lone Scherfig è quella di essere condannata a rimanere nel genere romantico. An Education e One Day avevano dimostrato che la regista partita con uno dei primissimi film Dogma (Italiano Per Principianti) poteva diventare una cineasta di livello internazionale e lavorare con le star sul sottile crinale tra romanticismo moderno e classico, che cioè ricicli temi e storie eterne dentro un immaginario visivo attualissimo e sempre credibile, paradossalmente sobrio (per gli standard del genere).

Tuttavia ogni fuoriuscita da quei canoni è stata un disastro.

Non fa eccezione The Kindness of Strangers, in cui diverse persone orbitano intorno ad un ristorante fintamente russo a Manhattan, sono tutti esseri umani in difficoltà, bisognosi dell’aiuto altrui. Nella città che simboleggia il mito del successo americano si muovono questi perdenti nati, incapaci di tutto, inabili e condannati ad essere schiacciati se qualcuno non li aiuta. Il contrasto è forte ma le loro storie sono affrontate con molta rapidità e solo quella della madre in fuga dal marito violento è davvero approfondita (anche se il risultato non è che faccia gridare al miracolo…). Sarà semmai un finale in cui (finalmente) fa capolino del vero romanticismo, in cui qualcuno guarda qualcun altro trovando in lui una salvezza per sé, a rimettere la regista sui binari sui quali sembra correre meglio.

Quest’apologia della forza della gentilezza è un pasticcio unico di cattiva scrittura. Per lunghissima parte del film ci si chiede quale sia il punto di quello cui si sta assistendo, visto che le storie, anche quando si intersecano non sembrano avere un punto né sono interessanti di per sé. E anche quando finalmente (a tre quarti), il senso comincia ad emergere, The Kindness of Strangers fa di tutto per schierare il pubblico tramite alcuni tra gli espedienti più fastidiosi possibili.

Bambini che inspiegabilmente rischiano di morire nelle intemperie, un villain che non appena ci sfiora il dubbio che forse abbia le sue ragioni e non sia quel che viene dipinto uccide qualcuno senza ragione e senza economia nella trama (solo per far capire a tutti che tipo è e che quindi assolutamente non si deve stare con lui), un simpatico proprietario di ristorante che di quando in quando si presenta nell’inquadratura per alleggerire e mille espedienti di sceneggiatura resi personaggi che cercano di raddrizzare il tono per farlo scivolare né nel tragico, né nel leggero. Ad un certo punto ci si può anche sentire in imbarazzo per quanto questo film è goffo.

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