Berlinale 2019 - Selfie, la recensione

Due amici rimasti nel paese d'estate passano i giorni tra lavoro e niente da fare. Selfie non li guarda ma fa in modo che guardino se stessi scoprendo un'altra lingua per il cinema

Critico e giornalista cinematografico


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Due ragazzi di Rione Traiano, comune di Napoli, riprendono se stessi e la propria quotidianità con uno smartphone. Hanno 16 anni e la loro estate è solitaria e calda. Uno lavora come cameriere in un bar, l’altro vorrebbe fare il barbiere ma nessuno lo assume. La scuola (come il casco) non è proprio cosa. In quelle zone un loro coetaneo è stato ammazzato per errore dalla polizia che l’aveva scambiato per un latitante, loro disprezzano il crimine e vogliono una vita onesta.

Agostino Ferrente è sempre più radicale con le sue scelte e come già gli era capitato di nuovo dà in mano ai soggetti gli strumenti per riprendersi. Lui e la sua troupe rimangono quasi sempre con loro, dietro il cellulare, ma i due amici (sommariamente infarinati) decidono inquadrature, tempi, dialoghi. L’esperimento non è nuovo ma cerca di essere il più radicale possibile mantenendo comunque la presenza della mano dell’autore. Ferrente cerca di annullare come può la mediazione e fare in modo che quel mondo si racconti a parole sue.

Il risultato è fantastico. Selfie è un documentario con immagini amatoriali ben temperato da un montaggio professionale e accorgimenti professionali. Questi due protagonisti dal fisico diverso ma molto amici (ci sono dei momenti di pura vicinanza che ingenuamente partono dai loro corpi che non si vedono mai nei film di finzione) sembrano il controcanto onesto dei ragazzi che in Gomorra (il film) sognano il crimine e finiscono a sparare in una palude. Creando un linguaggio per immagini naive i due dimostrano di essere sommariamente alfabetizzati all’audiovisivo e di padroneggiare un linguaggio delle immagini simile a quello ufficiale ma più diretto e grossolano, come fosse un dialetto. Questo fin dalle primissime immagini suona come la scelta migliore per raccontare quel mondo.

Aggiungendo poi alcune interviste ad altri ragazzi e ragazze locali, più video di sorveglianza e immagini dei telegiornali, Selfie aderisce al cinema del reale in una maniera unica. Non è assolutamente impermeabile alla retorica perché non lo sono i due soggetti ritratti e narranti, ma questo sguardo dall’interno non la rende fastidiosa, anzi così sembra che essa appartenere alle immagini.
Nonostante il rapporto tra vita onesta e criminale sia il punto di tutto, Selfie è però anche capace di lavorare tantissimo sul resto. C’è una naturale scarsa attenzione ai luoghi, perché poco vogliono dire per chi filma, tuttavia questa estate calda e vuota, un po’ pigra e in attesa di chissà cosa, sembra uscita da un film d’animazione giapponese nel quale le cicale scandiscono le ore e il fatto che nulla accada sembra il senso di tutto.

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