Berlinale 2019 - Normal, la recensione
Tramite una serie di quadri slegati tra loro Normal costruisce un mosaico straordinario, capace di riflettere sul ruolo che gioca il condizionamento sociale nel comportamento e nelle attività di maschi e femmine
Raccontato con un’episodicità che ricorda Frederick Wiseman, che conduce il film attraverso una serie di quadretti, ovvero momenti separati tra loro che si svolgono in tempi e luoghi diversi, popolati da persone diverse tra loro, Normal cerca una vicinanza che Wiseman fugge. Molto più partecipe, molto più parziale (in ogni inquadratura il film ha ben chiaro con chi sta), Normal mostra ragazzi, ragazze, bambini, bambine, donne e uomini, quasi sempre separati in attività monosessuali (maschi che fanno cose da maschi e femmine che fanno cose da femmine). La maniera in cui li guarda quella in cui affianca questi quadretti dice tutto quel che c’è da dire e lavora nella testa dello spettatore.
Nell’immagine più bella del documentario un gruppo di donne fa aerobica all’aperto tutte con carrozzina, il dovere imposto dal proprio sesso che si agita dentro il desiderio di essere anche altro. Ed è proprio tra desideri indotti e spontanei che Normal infila tutte le sue immagini, parteggiando con una certa tenerezza per i soggetti principali ma anche lasciando sufficiente spazio perché ognuno prenda la propria posizione.