Berlinale 2019 - Ghost Town Anthology, la recensione

Autoincoronatosi cinema d'autore, Ghost Town Anthology è un piccolo manuale di tutto quello che non si dovrebbe aspirare a fare, specie con gli scenari innevati

Critico e giornalista cinematografico


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Arriva un momento nella vita di un autore in cui i suoi personaggi levitano. La levitazione è un passaggio obbligatorio, come un esame.

Denis Coté farà levitare qualcuno verso la fine di Ghost Town Anthology, film girato in 16mm con tanto di ostentazione di graffi sulla pellicola granulosa e bassa qualità, fiero esperimento di cinema artigianale ambientato nelle asperità provinciali del Quebec. Lì la città del titolo si sta trasformando in città fantasma (o meglio città di fantasmi) perché i pochi abitanti sono devastati dalle morti che paiono incontrollabili e insensate. Ancora di più poi saranno devastati dai continui avvistamenti più o meno ambigui, più o meno smaccati di fantasmi (più o meno levitanti) dei loro cari.

Come si sente fortemente il bisogno di una regolamentazione da parte della comunità internazionale sull’uso della spiaggia nei finali dei film, sembra altrettanto importante una stretta sull’uso della neve nel cinema d’autore. Ghost Town Anthology nella sua ricerca stilistica autoincoronatasi intellettuale grazie al già citato 16mm, grazie all’ambiente remoto, sfrutta anche la neve per dare una spallata alle proprie atmosfere sospese e attutite.
La neve non è un elemento alieno e visivamente pazzesco come in Neve Rossa, non è una difficoltà tra le altre che si abbatte sui protagonisti derelitti e appesantiti come in Fargo, né una specie di strano amico mortale come nei thriller nordici o la morte candida di ogni cosa vivente come in Snowpiercer. Non è nemmeno il simbolo della purezza sporcato dalla violenza come nel cinema di samurai (o di Tarantino) né ancora l’approdo alla fine di tutto come in La Mia Droga Si Chiama Julie o una specie di rumore visivo che confonde tutto, enfatizza il caos e satura la visione come in Aleksey German. Qui la neve è l’inospitale scenario che aiuta il regista a soddisfare le proprie aspirazioni.

Ghost Town Anthology letteralmente si trascina per la sua durata con un’idea molto sottile di trama e una ancora più esile di racconto. Fondando molta della sua ragion d’essere sul non spiegare i misteri e le apparizioni, sul non approfondire troppo le ragioni delle azioni dei personaggi per ottenere un film indeciso e in bilico, questo nuovo film di Denis Coté è forse il meno sopportabile tra i suoi, il meno deciso, il meno ispirato. Nell’incrocio tra pervicacia nell’astrarre e incapacità nel farci qualcosa o creare realmente un’atmosfera clamorosa, significativa o anche solo sensata, sta tutto il segreto di questa sconfitta di film.

Si può discutere sulla capacità di questo regista di andare a cercare i temi e le sensazioni più originali e complicate da raccontare, meno invece su quanto ci riesca.

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