[Berlinale 2018] Songwriter, la recensione

Songwriter racconta la creatività digitale ai livelli commerciali più alti possibili come un atto casuale reso possibile dalla tecnologia di consumo

Critico e giornalista cinematografico


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Dalla fine di un tour all’inizio di un altro, tutta la creazione dell’album che sta in mezzo, intitolato ÷, da parte di Ed Sheeran, ripreso (malissimo) dal cugino che l’ha sempre seguito. La star ritratta dal proprio entourage che poi sarebbe la sua famiglia, niente di devastante o anche solo lontanamente realistico e interessante, puro marketing che tuttavia restituisce un’immagine curiosa e diversa dal solito della creatività. Quella che Sheeran e il cugino Murray Cummings mettono in scena è infatti il processo creativo, non tanto come le canzoni sono registrate, prodotte e commercializzate ma come funziona l’ideazione, attraverso una molteplicità di stimoli e possibilità digitali.

Ed Sheeran è il 27esimo artista più ricco del mondo e probabilmente uno dei musicisti pop più importanti del momento, ma il film fa di tutto per non riprendere il personale che gli gira intorno e le molte persone che lavorano per lui, concentrandosi su chi lavora con lui. Ed Sheeran ne esce come un musicista che vive una vita da ragazzo, con colleghi e amici che entrano a casa sua, viaggi, una grande disponibilità di denaro e mezzi ovviamente ma nessuna struttura sopra o intorno di sé (addirittura dell’etichetta musicale sentiamo una voce fuori campo come fossero i genitori nei Peanuts). Totalmente libero.

Non sorprende questo (come non sorprende l’estetica del bravo ragazzo, senza grilli per la testa, come tutti gli altri) è semmai la maniera fluida in cui la creatività è raccontata come un processo basato sulla tecnologia di consumo e sulla sua leggerezza a impressionare.
La parte più stupefacente è l’inizio, finita la data di un tour, sul bus superattrezzato dove Sheeran, in pigiamone con il suo produttore strimpella, ipotizza, appunta sul cellulare poi attacca la chitarra ad un PC con software di editing audio, registra, campiona, elabora un riff e ancora corre a prendere il suo portatile, integra qualcos’altro di registrato e infine canta. Non è la versione definitiva ovviamente ma una demo preparatoria, tuttavia la facilità e l’immediatezza che esistono tra suonare ed elaborare il suono per farne una canzone somigliano al prendere appunti su un block notes.

Lo stesso avverrà su una nave da crociera, poi ovviamente a casa e in tanti altri luoghi. C’è un’idea casual del processo creativo che rifiuta totalmente l’immaginario tempestoso, doloroso e furioso che spesso è associato alla creazione artistica, che è impressionante per fluidità e naturalezza. A prescindere dall’esito della creazione, le canzoni sono quelle che a fine documentario finiscono in posizioni altissime in classifica e poi saranno portate in tour milionari, e nonostante le classiche consulenze, il rapporto con il produttore e i musicisti, non diverso dagli equivalenti di altre epoche, il modo in cui Songwriter racconta la genesi della musica pop oggi sembra il prolungamento più logico del modo in cui la tecnologia ha cambiato gli altri ambiti della nostra vita, creando un rapporto fluido tra il pensiero e la sua elaborazione tecnologica.

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