[Berlinale 2018] Figlia Mia, la recensione
Con un look formidabile e una prestazione pazzesca di Alba Rohrwacher, Figlia Mia trova la strada migliore, sorprende e intrattiene
La bambina, capiamo dopo poco, è figlia di Alba Rohrwacher, ma non lo sa. Madre snaturatissima e svogliata, ubriacona e incapace di badare a sé, l’ha affidata appena nata a Valeria Golino che non poteva avere figli ma ne desiderava uno così tanto da stringere un patto demoniaco con lei: l’avrebbe aiutata per sempre, le avrebbe fatto anche da badante a tempo perso, purchè non tornasse mai a reclamarla. Ma la campagna sarda in cui vivono è piccola e la bambina, 10 anni, prova un’attrazione inspiegabile per quella donna così diversa che non la calcola. Sarà lei ad avvicinarsi alla sua vera madre fino ad intuire la verità con crescente apprensione dell'altra madre, quella che ha sempre conosciuto.
Perché se Valeria Golino mantiene i suoi standard elevati, è Alba Rohrwacher a fare gli straordinari anche quando non le è richiesto e dare al film una marcia in più quando serve. Purtroppo infatti i bambini del film non recitano bene, sono molto artificiosi e poco spontanei, così sarà la recitazione della mamma naturale a far capire al pubblico, con un carpiato non da poco, cosa la bambina veda in lei, perché ne sia attratta e cosa invece tema. Capace di affascinarla e respingerla di fatto Alba Rohrwacher in molte scene recita per due, fa il lavoro suo e della protagonista. E anche nelle sequenze umide e fumose del localaccio in cui dà il peggio di sé (mentre il film si esalta con dei toni blu di un infamità rara), è lei a creare un’atmosfera umiliante in cui possiamo davvero credere che ogni nefandezza dell’animo alberghi nel resto degli attori.