[Berlinale 2018] Figlia Mia, la recensione

Con un look formidabile e una prestazione pazzesca di Alba Rohrwacher, Figlia Mia trova la strada migliore, sorprende e intrattiene

Critico e giornalista cinematografico


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C’è un look fortissimo dietro Figlia Mia, un look molto coerente ed elaborato tipico del direttore della fotografia Vladan Radovic (lo stesso di Smetto quando Voglio), dai colori sempre molto saturi e dalla color correction evidente e calcata. Così forte che già nella prima immagine investe lo spettatore come un camion. Macchina a mano, nuca di bambina con una testa di capelli rosso/arancio mentre una delle dominanti cromatiche è proprio lo stesso arancione di quei capelli; un maneggio, una specie di fiera con cavalli in cui si aggira la bambina e subito Alba Rohrwacher con un vestito troppo corto e blu come l’altra dominante cromatica, ubriaca, sfatta, lasciva che si struscia ad un uomo in un angolo e scaccia la bambina. Meno di un minuto e c’è uno stile fortissimo che agguanta lo spettatore prima ancora che sia chiara la trama.

La bambina, capiamo dopo poco, è figlia di Alba Rohrwacher, ma non lo sa. Madre snaturatissima e svogliata, ubriacona e incapace di badare a sé, l’ha affidata appena nata a Valeria Golino che non poteva avere figli ma ne desiderava uno così tanto da stringere un patto demoniaco con lei: l’avrebbe aiutata per sempre, le avrebbe fatto anche da badante a tempo perso, purchè non tornasse mai a reclamarla. Ma la campagna sarda in cui vivono è piccola e la bambina, 10 anni, prova un’attrazione inspiegabile per quella donna così diversa che non la calcola. Sarà lei ad avvicinarsi alla sua vera madre fino ad intuire la verità con crescente apprensione dell'altra madre, quella che ha sempre conosciuto.

Figlia Mia costituisce un bel salto in avanti rispetto a Vergine Giurata anche perché possiede (cosa rarissima nel genere) un intreccio forte che coinvolge soldi chiesti, non prestati, cercati, un tesoretto da recuperare in una necropoli per non essere costretti a partire verso “il continente”, Udo Kier (!!) e soprattutto ha una maniera vincente di mescolare le acque. La madre naturale e quella che invece ha voluto la bambina si scambiano quasi i ruoli, il film le fa passare dal torto alla ragione con una naturalezza e una disinvoltura ammirabili, riuscendo alla fine a non dare ragione a nessuno. Per tutto ciò Laura Bispuri deve ringraziare se stessa (e Francesca Manieri che ha co-scritto il film) ma soprattutto Alba Rohrwacher.

Perché se Valeria Golino mantiene i suoi standard elevati, è Alba Rohrwacher a fare gli straordinari anche quando non le è richiesto e dare al film una marcia in più quando serve. Purtroppo infatti i bambini del film non recitano bene, sono molto artificiosi e poco spontanei, così sarà la recitazione della mamma naturale a far capire al pubblico, con un carpiato non da poco, cosa la bambina veda in lei, perché ne sia attratta e cosa invece tema. Capace di affascinarla e respingerla di fatto Alba Rohrwacher in molte scene recita per due, fa il lavoro suo e della protagonista. E anche nelle sequenze umide e fumose del localaccio in cui dà il peggio di sé (mentre il film si esalta con dei toni blu di un infamità rara), è lei a creare un’atmosfera umiliante in cui possiamo davvero credere che ogni nefandezza dell’animo alberghi nel resto degli attori.

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