[Berlinale 2018] Damsel, la recensione
Il western di Damsel vuole ribaltare i ruoli e cambiare il gender dei personaggi ma il risultato è più uno sketch comico che un film
Dopo un’introduzione che chiarisce la natura folle e stralunata di questo western, il fatto che non ci sarà nulla di male a ridere e un certo senso del grottesco sarà parte di quel che vedremo, Robert Pattinson esordisce come eroe non propriamente classico e abbastanza impacciato. Non è un uomo d’azione e la differenza tra lui e gli altri paesani della cittadina in cui è arrivato alla ricerca della futura sposa, cioè Mia Wasikowska, è evidente. Non beve whiskey, non sputa, non ha fatto mai a botte ed è un po’ vigliacco per quanto determinato. Non migliore di lui è il prete ubriacone che recluta per seguirlo nella grande operazione di salvataggio.
Perchè era indubbiamente interessante l’idea di capovolgere il gender e gli atteggiamenti che associamo ai sessi là nel genere e nella terra in cui questo (al cinema) sembra più radicato che mai, cioè nel western. Ma i fratelli Zellner sono troppo scarsi nel comico, troppo scarsi nella necessaria inventiva utile a dare al film il passo delle commedie, e soprattutto troppo scarsi con i loro personaggi! Lo si vede bene se si segue la tenue evoluzione del prete ubriacone, in teoria il vero protagonista del film (sia nella prima che nella seconda parte seguiamo sempre lui, spettatore di questa storia come noi) che è più ridicolo alla fine, nel suo colpo di coda sentimentale, di quanto non lo sia all’inizio quando è solo una macchietta.