Si potrebbe scrivere un intero libro sulle differenze di adattamento del romanzo The Dinner di Herman Koch in
I nostri ragazzi e
The Dinner di
Oren Moverman, su come diversi autori abbiano trattato con diversa complessità l’esigenza di comprimere e selezionare, di prendere spunto e adattare il contenuto e la storia olandese al loro presente e soprattutto a quel che gli interessa. E sarebbe un libro che racconterebbe molto bene gli incastri del cinema italiano.
Per Moverman la questione morale non è un imperativo categorico, non è un problema di stabilire una volta per tutte cosa sia giusto fare, ma un dilemma soggettivo che dilania ogni personaggio diversamente a seconda della propria storia personale.
Due famiglie imparentate (gli uomini sono fratelli) si confrontano perché i loro figli hanno bruciato un barbone, nessuno ancora lo ha saputo e devono capire che fare. C’è chi vuole uscire allo scoperto e insegnare loro che si paga per ogni azione, e chi vuole insabbiare tutto. C’è infine una persona con lievi problemi mentali che complica tutto, e c’è un figlio adottato che sa ogni cosa e minaccia di andare alla polizia. Tutto avviene durante una cena in un ristorante stellato, un momento scandito dall’arrivo dei piatti e dai siparietti con i camerieri.
Purtroppo The Dinner entra nel vivo decisamente troppo tardi, cincischia moltissimo all’inizio come se avesse tempo da perdere e poi si affretta alla fine a raccontare tutto con poco. La parte migliore di questo film allora è quella che si svolge non nei flashback né nei battibecchi ma dentro le singole teste. Specie in quella del padre affaticato da una malattia mentale di Steve Coogan, uomo messo da parte, sensibile alla propria marginalità ma con le idee chiare su quali siano le priorità della vita. Lui è molto esposto all’inizio e inspiegabilmente marginale alla fine, è un finto protagonista ossessivo che rovina buona parte delle conversazioni con tangibile fastidio. Gestendo male lui, il film ha gestito male tutto e anche la strana posizione del quasi governatore Richard Gere e la sua seconda moglie Rebecca Hall che passano in secondo piano, da che potevano essere la vera chiave.
Insomma con una migliore amalgama e soprattutto un maggiore equilibrio tra le parti
The Dinner poteva imitare bene i principi cardinali del western, cioè quelli per i quali l’imposizione di una morale è il vero campo di battaglia, ma troppe parole vengono gettate al vento perché si raggiunga una vera sintesi. Troppo tardi i nodi arrivano al pettine perché ci sia spazio per un vero scontro. No,
The Dinner vuole mostrare la tragedia di due famiglie a pezzi e proprio nel suo non trovare una chiave di lettura sta l’ultima tragica pecca che lo rende dimenticabile.