[Berlinale 2017] Logan - The Wolverine, la recensione

Mangold e Hugh Jackman con una perseveranza rara ce l'hanno fatta, Logan è il film che il personaggio meritava per il suo addio

Critico e giornalista cinematografico


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Che in Logan tutto butti bene lo si capisce dopo circa 20 secondi dall’inizio, quando il protagonista, devastato, distrutto, invecchiato e probabilmente sbronzo, è costretto a scendere dall’auto in cui dorme. Primo piano ravvicinato dei piedi a terra che faticano a reggerlo e lottano con il peso che li sovrasta, abbiamo già capito tutto, Jackman recita con i piedi e (per una volta) è un complimento. Il resto del film avrà la medesima cura del dettaglio e la stessa passione per gli elementi rivelatori (si veda come Mangold gestisce bene il punto di vista della bambina Laura, il suo posizionamento, le sue passioni).

La storia cui assisteremo, presa nella sua essenza, sarà più o meno la stessa cui i cinefumetti ci hanno abituato (specie quelli con mutanti), fatta di una minaccia esterna, l’esigenza di combatterla, di salvare qualcuno, scappare, riunirsi e lottare per la sopravvivenza. A rendere tutto diverso, complesso, migliore è la riduzione delle proporzioni (non "salvare il mondo" ma una persona sola tra molte), l’ambientazione e l’idea ampiamente anticipata di un cast ridotto all’osso, invecchiato, distrutto e ridotto ai minimi termini. Il film ha una violenza forte e da Rated R (l’equivalente americano del divieto ai minori di 17 anni), ma la vera devastazione è quella operata addosso ai personaggi, massacrati di umiliazioni e antiepica.

La vera devastazione è quella operata addosso ai personaggi, massacrati di umiliazioni e antiepica

I supereroi sono creature mitiche che la Marvel da sempre cerca di rendere il più umani possibile tramite l’umorismo e l’ironia, ora lo fa tramite la disillusione e il crepuscolo di qualsiasi essere umano: la vecchiaia. Adesso che non hanno niente di super se non qualche piccolo anelito possono animare un film in cui c’è un eroismo concreto e classico, lo stesso del west (ampiamente citato con Il Cavaliere della Valle Solitaria), del poliziesco e di tutto quel cinema che ha raccontato gli esseri umani come animali.
Logan è sempre stato il più animalesco del suo branco, sulla carta come al cinema, ma Mangold qui lavora tantissimo di sound design e di urla, grugniti e ruggiti. Con il procedere del film si impara a distinguerli, si allena l’orecchio alle urla di furia (bellissime quelle della bambina), di rabbia, di morte e di ritrovato vigore. Ancora niente di nuovo, i supereroi hanno sempre il dovere di sembrare in difficoltà per trovare la vera forza dentro di sé, ma renderlo in questa maniera è una boccata di cinema di cui beneficia tutto il film (che di espedienti simili è pieno).

In una storia che è superfluo star qui a riassumere per quanto è un grande pretesto per mostrare l’attaccamento di alcuni esseri umani e la paura di morire ed essere soli (in questo i boschi canadesi del finale sono una chiusa impeccabile per la vecchia Arma X), è Patrick Stewart ad impressionare per contributo e precisione. Non è il fatto di recitare bene l’anzianità ma di capire bene come Hugh Jackman sia (per quasi tutto un film) un motore di sola acredine e che a lui invece tocchi modulare i toni di ogni scena. Xavier con i piccoli contributi dà i tempi, controlla l’umorismo, il sentimentalismo e l’azione, è usato come un volante che dà direzione al film. In questa maniera anche il piccolo momento Amarcord, in cui si rivangano i vecchi tempi, non suona fuori luogo e anzi ha una piacevole fuoriuscita metacinematografica (il pubblico effettivamente è invecchiato con personaggi che per la prima volta ha visto quasi 20 anni fa interpretati da questi stessi attori).

Infine finalmente la decisione di optare per una messa in scena meno ipocrita e più onesta con la violenza mette in scena il convitato di pietra del cinema di supereroi: la morte. Nonostante sia un tipo di cinema che trabocca di azione e violenza, e quindi di morte, ha necessariamente un piglio leggero che nell’esaltare l’azione ne oscura le conseguenze. Logan fa il contrario, ha un occhio quasi pornografico per la morte, il dolore, il sangue e la sofferenza di ognuno dei molti gesti violenti compiuti. Ed è davvero un cambio a lungo atteso, coerente con l’aria funerea che domina questo film arrivato al termine di ogni possibile epica. Logan non sarà certo l’ultimo dei cinefumetti, ma se lo fosse sarebbe più che appropriato per come sfronda la mitologia cinematografica dei supereroi di ogni retorica. Lasciando che il mito esista solo nelle pagine dei veri fumetti (finalmente in scena!), rinnegato dagli stessi protagonisti e disprezzato, questo film mette in scena quel che poi è sempre stata l’essenza dei cinefumetti, la propensione verso il sentirsi differenti e fare comunità, in un mondo per il quale si provano sentimenti ambivalenti di difesa e attacco, minaccia e protezione.

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