[Berlinale 2017] Have A Nice Day, la recensione

Lungometraggio d'animazione a budget ridicolo ma pieno di idee, Have a Nice Day ha il pregio di non fare sconti a nessuno, mai, in nessun caso

Critico e giornalista cinematografico


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Una volta tanto il MacGuffin, il pretesto che muove eventi, persone e accadimenti in una storia, non è davvero solo un pretesto. La classica “bag of money” che tutti desiderano e per la quale tutti correranno rischi assurdi e tragicomici non è un oggetto come un altro, perché in Have a Nice Day il fascino delle banconote rosa con sopra Mao è un elemento determinante.

Cartone ben poco animato, molto curato nel character design minimale e realistico ma soprattutto negli sfondi fantastici, così derelitti e senza nessuna indulgenza per nessuno, questo secondo film di Jian Liu è quasi esasperante per quanto poco muova i suoi personaggi, eppure è anche molto sveglio nel farlo percepire il meno possibile.

Con un sonoro che illude per ampissimi tratti che i movimenti siano più di quelli che in realtà non sono, e con una capacità eccezionale di comporre le inquadrature così che anche fisse parlino, comunichino, funzionino, se non proprio appaiano dinamiche. Have a Nice Day è una black comedy di 70 minuti in cui diverse persone entrano in contatto con del denaro che cercano di tenere per sé. Una girandola che vorrebbe incrociare i Coen con Guy Ritchie ma in realtà riesce solo a far venire nostalgia dell’approccio cinico e caotico alla vita dei primi. Non è certo nel calco al cinema altrui che questo film dà il suo meglio ma semmai in come ambienta una storia che pare di un altro in un mondo, quello sì solo suo.

Era da Black Coal, Thin Ice (in italiano senza nessun ritegno per il senso delle parole diventato il semiologicamente opposto Fuochi D’Artificio In Pieno Giorno) che non si vedeva una Cina così sommessamente terra di nessuno, luogo di desolazione in cui qualsiasi cosa può esserti sottratta da un tuo pari da un momento all’altro. Terra in cui tutti sono sia prede che predatori, posto infame che per degrado sembra oggi la Neo-Tokyo che Akira disegnava negli anni ‘80, quello sfondo è così appropriato da ricordare quasi l’inferno in terra di The Fake, solo con molto meno afflato cinematografico e molto più uno spirito da vero e proprio affronto all’umanità che ci vive dentro e che pare non meritare altro.

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