[Berlinale 2016] The lovers and the despot, la recensione

Cercando di essere il più semplici e chiari possibile, i due registi di The lovers and the despot riescono a dare conto di una increidbile storia vera

Critico e giornalista cinematografico


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La storia di questo documentario, cioè di come negli anni ‘70 un regista acclamato della Corea Del Sud e sua moglie, una diva, furono in modi diversi rapiti o prelevati dalla Corea Del Nord per diventare strumento di propaganda, di suo, ha dell’incredibile. Come ha dell’incredibile che questa parabola pazzesca non fosse nota a livello mondiale fino a che The lovers and the despot non è arrivato a raccontarla.
Come accade quando i fatti sono più clamorosi della forma questo documentario ha il pregio di tenere i formalismi a bada e cercare di fare il racconto più lineare che può. Gli eventi sono molti, intricati e in molti casi difficili a credersi. Quanto il film riesca a non finire nel kitsch diventa dunque cruciale.

Con interviste ai sopravvissuti, principalmente la diva Choi Eun-hee (il marito Shin Sang-ok è morto pochi anni fa), i figli, qualche esperto di Corea dell’epoca e dei critici cinematografici, il film ricostruisce la serie incredibile di eventi e ha il privilegio di poterli puntellare con documenti pazzeschi come le vere registrazioni audio fatte clandestinamente dalla coppia dei dialoghi con il dittatore Kim Jong-Il.
Ross Adam e Robert Cannan hanno il merito di aver compreso quale sia in questa storia il punto di forza e averlo sottolineato con il montaggio e con il materiale di repertorio (invece suonano sempre molto da 4 soldi le parti girate per l’occasione). Questa è una storia di due professionisti dell’industria dello spettacolo che reagiscono ad eventi straordinari come personaggi dello spettacolo e finiscono per vivere una storia con una parabola da film.

Contrappuntando tutti i racconti con immagini dei film della coppia che mettono in scena proprio quel che stanno narrando, enfatizzando i ricordi più cinematografici e lavorando benissimo con le clip audio dei veri dialoghi, i due registi costruiscono un racconto reale che sembra finto. Il grande piano di due prigionieri politici che attraverso l’industria del cinema riescono a scappare, impiegati per anni a fare cinema di propaganda nordcoreano, diventati famosi e riconosciuti cominciano ad usare critici di cinema internazionali che incontrano ai festival per contrabbandare le cassette audio e organizzare le fughe. Il cinema all’interno del mondo del cinema, il resoconto dei professionisti del racconto di una storia più finta di quelle finte che però è accaduta veramente.
Che poi il film sia l’unico documento esistente della voce e delle parole di Kim Jong-Il (che come un vero personaggio complesso ad un certo punto ha una battuta di impressionante tenerezza, una richiesta di fedeltà quasi struggente) è solo un dettaglio ancora più clamoroso che rende The lovers and the despot una visione imprescindibile per qualunque amante di quel brandello di realtà che senza nessuna forzatura, da sola, si avvicina ai film.

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