[Berlinale 2016] Indignation, la recensione

Rrimanendo fedele al romanzo di Philip Roth, Indignation costruisce una sua estetica per raccontare quello che abbiamo visto in altri film in modo nuovo

Critico e giornalista cinematografico


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Una vita intera contro. L'arco narrativo del protagonista di Indignation, tratto dall'omonimo libro di Philip Roth disegna una vita brutale e arrogante, piena di un desiderio di una sottile ribellione all'insegna del rigore e non del caos. Contrariamente a qualsiasi altra banale parabola ribellistica dalle facili morali e soprattutto facili contrapposizioni, la ribellione del protagonista è individualista a favore di se stesso, rivendica la possibilità di una vita retta, morale, giusta, dedita ai propri obiettivi e non al servizio di inutili principi altrui. Se il materiale di partenza sembra fenomenale di suo va riconosciuto subito il merito a James Schamus di trattarlo con una delicatezza encomiabile. Nonostante le ambientazioni e i rituali siano i medesimi di molto altro cinema a tema universitario Indignation è come se imboccasse quella medesima strada contromano.

La parabola da film universitario, tra confraternite, incontri sentimentali, rivalità con il preside e rapporto con dei genitori normativi e molto inquadrati, è esattamente quello di molte altre commedie, ma Indignation trova altre inquadrature, altri colori e un altro modo di mettere in relazione i protagonisti per far sì che il film abbia anche solo visivamente un altro sapore.
Qui ci sono confronti verbali tenuti sull'equilibrio del viscerale e del grottesco, tra la risata, l'ammirazione e la foga carnale di un fisico che sembra cedere di fronte alla furia delle parole, che impressionano ma anche momenti di una dolcezza sessuale commovente. Una pazza e un ribelle che pazzi e ribelli alla fine non sarebbero, non fosse per l'ambiente che li circonda, cercano di portare avanti la più strana delle relazioni e il regista li inquadra sempre con un profluvio di tagli e punti di vista diversi.

Certo la ricerca di un'impossibile stile pacato e invisibile, di una messa in scena che non sottolinei nulla in particolare ma cerchi di essere al servizio della sola storia non sempre paga, viste le svolte narrative. Lo stesso in questo film che cerca di conciliare degli estremi, riempito com'è di personaggi che non sono quel che dovrebbero essere (anche il preside, solitamente figura autoritaria, qui è un bonario bastardo, compiaciuto delle rivalità con lo studente ma non di meno infido), non si respira mai l'aria di un mondo fuori dal comune dalla stranezza. È questa l'impresa più clamorosa del film: svicolare ogni luogo comune, anche quello della poca convenzionalità, e trovare una lingua tutta sua.

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