[Berlinale 2015] Paradise in service, la recensione

Dolce ma mai smielato Paradise in service mira a ritrarre l'umanità con il filtro benevolente della nostalgia ma ha una schiena di ferro che commuove

Critico e giornalista cinematografico


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Quando negli anni '60 iniziò la lunga guerra di Taiwan contro la Cina maoista diversi uomini che combattevano per liberare il proprio paese finirono nelle isole taiwanesi, costretti alla ritirata ma speranzosi di poter riconquistare la madrepatria. Di questi uomini e donne, che rimandano tutto ad un futuro che noi sappiamo non si concretizzerà, separati dalle famiglie e dagli affetti, si occupa Paradise in service, ma non li mette nel più consueto degli scenari bellici, sceglie invece di concentrarsi in un bordello militare, uno tenuto e organizzato dallo stesso esercito.

I colori sono sgargianti, c'è quasi sempre il sole, le prostitute sono belle e pulite e i sentimenti sono d'oro, non è con la lente del realismo che Doze Niu Chen-Zer vuole realizzare il suo film ma sfruttando la dolcezza del ricordo per toccare il profondo dell'umanità.

Il soldato Pao, non adatto ai corpi speciali e assegnato dietro raccomandazione alla gestione del bordello, è il catalizzatore di tutte le molte storie che gli girano intorno. Storie di prostitute e di soldati, di chi ha lasciato qualcosa a casa e di chi non vuole più stare lì, ognuno cercherà un futuro per sè in qualche maniera, venendo a patti con il fatto che non è più possibile rimandare la propria vita a quando si tornerà in Cina. In chiusura una serie di foto in bianco e nero di "futuri ipotetici" ma tragicamente fasulli strizzeranno il cuore.

La sfida di Doze Niu Chen-Zer è insomma flirtare con la melassa dei sentimenti banali senza mai perdere la lotta per rimanere nel terreno dell'onestà, usare il filtro della nostalgia per un'epoca passata, senza cadere nell'apologia e anzi mettere tutti questi strumenti nella definizione più alta possibile, quella dell'umanità. Gli spari nella notte sembrano fuochi d'artificio e le bombe sulla spiaggia sono il pollice che tiene schiacciati tutti i protagonisti che bevono aranciate e fanno sesso cercando di non crollare (anche se sistematicamente ogni tanto qualcuno dà di matto).
Ci vuole davvero un amore smisurato per i propri personaggi per fare un film simile, un racconto così equilibrato tra pietismo e rispetto, tra comprensione dei drammi più elementari (un contadino strappato dall'esercito alla sua famiglia che non vi fa ritorno da 20 anni ed è analfabeta) e delle psicologie più sofisticate.

Senza dubbio uno dei film più umani e a suo modo poetici dell'anno.

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