[Berlinale 2015] Mr. Holmes, la recensione
Privato di tutto quello che lo caratterizza lo Sherlock anziano di Mr. Holmes è un personaggio come altri in un film buonista per coetanei di Ian McKellen
Tratto dal romanzo di Mitch Cullin racconta una storia di Sherlock Holmes anziano in cui la vecchiaia ha distrutto la memoria del grande detective che ora lotta per mettere a fuoco la causa del suo ritiro dalla professione investigativa. Questo Holmes in terza età non ha quasi nulla del personaggio di Conan Doyle, non ne ha il carattere fiero, l'arroganza, la terribile noia tra un caso e l'altro, il rapporto morboso con Watson (sposato e finito fuori da tutto) nè infine il formidabile potere deduttivo. Ian McKellen interpreta le spoglie di Holmes, l'ombra dell'uomo che era in lotta contro se stesso e contro la sua scarsa memoria per capire qualcosa. Un'ultima volta.
Ancora più grave il ritiro campagnolo da cui opera Mr. Holmes è gestito da una badante/donna tuttofare con figlio a carico che diventa il nuovo "simpatico" aiutante dell'investigatore. Appassionato dei libri scritti da Watson sulle loro indagini, il bambino mette sui binari giusti il protaognista sia riguardo l'enigma del suo ultimo caso, sia riguardo un più prosaico caso di api morte nel loro giardino. L'unico obiettivo di tutto ciò è un climax finale di buoni sentimenti un tanto al chilo, poter arrivare a fare un agghiacciante dolly di chiusura (che probabilmente è stato girato con un drone) di zuccherosa gentilezza. L'ultima coltellata di questo massacro.