[Berlinale 2015] The club, la recensione

Un'altra prigione, questa volta più stretta, anima un film di Larrain. The club si astrae dal Cile e racconta l'oppressione e il potere in maniere nuove

Critico e giornalista cinematografico


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C'è un'aura di continua paura nei film di Pablo Larrain, la sensazione che nulla vada bene nei mondi che riprende, come ci fosse qualcosa nell'aria di non detto ma chiaro a ogni personaggio che ammazza ogni serenità e alla quale l'autore cileno arriva in maniere uniche e personali. I suoi film destabilizzano perchè giungono al disagio senza il comfort di aver usato i consueti espedienti di linguaggio filmico che conosciamo e ci rassicurano. C'è un che di indecifrabile nelle sue immagini e nella sua recitazione, uno scarto che dà vita a piccoli inferni dove la follia non è fuori posto come invece lo sarebbe nel mondo reale e che più volte fanno esplodere senza alcun preavviso delle piccole cariche di umorismo. Addirittura The club si isola, riprende una minuscola comunità di preti che vive in una casetta vicino al mare, apparentemente lontano da tutti, confinati lì dalla chiesa, dimenticati dal mondo. Hanno tutti qualcosa nel loro passato che li avrebbe potuti mandare in galera ma per mantenere le apparenze il Vaticano li ha fatti sparire in questa maniera, ora vivono una finta tranquillità.

A rompere quest'equilibrio arriva subito un altro prete, la cui presenza è imposta proprio dalla chiesa, costui anche ha qualcosa per cui essere nascosto, forse più grosso degli altri, tanto che solo poche ore dopo il suo arrivo qualcuno, dalla strada, comincia ad urlare le accuse, mette in piazza i suoi misfatti, attira l'attenzione, rivela dettagli orribili. Il prete, a sorpresa, si suicida immediatamente.

Così inizia un film lungo il quale sentiamo la mano di un potere che opprime delle vite (di certo non di santi) a tantissimi livelli diversi per riportare una forma di equilibrio in quello che considera un suo protettorato, una zona su cui deve comandare. Un potere che ha un emissario e che tuttavia non percepiamo mai come chiaro. Cosa voglia, che pretenda, quali siano i suoi piani sono questioni oscure, quello che è certo è che fa imporre il suo volere e non senza violenza.

The club somiglia a Post mortem, è un film al crepuscolo in cui nulla è mai illuminato veramente bene e nel quale questi esseri umani nascosti da tutto, tramano, si agitano, cercano di vivere una vita benchè siano rassegnati all'oppressione. Conoscendo la filmografia e le idee degli scorsi film di Larrain è facilissimo vedere in questo una piccola sineddoche del Cile di Pinochet, ma in questo caso sarebbe una prospettiva limitante.
Sembra abbastanza evidente che nonostante le esperienze personali e del propio paese a Larrain stia a cuore come gli esseri umani possano vivere sotto un controllo pesante, come si possa tirare avanti nella paura e attraverso quali meccanismi diabolici qualsiasi potere riesca a cambiare le persone che controlla. The club per la prima volta allarga la prospettiva, tenta un discorso più universale occupandosi di qualcosa di più specifico.

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