[Berlinale 2015] Cenerentola, la recensione

Fedele, classica e con un piglio moderno preso dai migliori cartoni animati, Cinderella è una sorpresa di umorismo e fiducia nelle fiabe

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Quando pensavamo di aver capito cosa ci fosse dietro al ritorno al cinema delle favole classiche Disney rimesse in scena con un misto di attori e scenari in computer grafica, arriva Cenerentola di Kenneth Branagh a rimescolare le carte. Non è insomma vero per questo film quello che ci avevano insegnato Alice in wonderland, Maleficient e Biancaneve e il cacciatore (nonchè i molti altri film di altri studi che si sono "accodati" a questa tendenza come Hansel e Gretel - Cacciatori di streghe o Il cacciatore di giganti), cioè che la Disney stava rimescolando le carte dei suoi classici, scambiando protagonisti con antagonisti, cambiando il genere di riferimento in fantasy o ancora usando personaggi arcinoti per raccontare storie completamente diverse ad un pubblico diverso, uno abituato a trame più dure e ad un cinema, quello di questi anni, che ama l'atteggiamento geek nei film, ovvero l'analisi di tutte le componenti e l'approfondimento di ogni fatto, il prologo che crei una mitologia, le "origini" per i personaggi, fino alla spiegazione per filo e per segno di ogni componente per essere certi che la credibilità interna alla storia regga sempre. Anche nelle favole.Azzeccando ritmo e tono Branagh riesce a far funzionare tutto, anche quello che negli altri film del genere risultava più scadente

Cenerentola è il classico che non vuole morire e si batte per essere ancora attuale senza tradire se stesso. E vince.
Il piglio sembra quello della migliore animazione contemporanea Disney, quell'incrocio tra fiducia nella forza dei principi sbandierati dalla favole (sentimenti positivi di granito, la forza del sogno, la solidità degli scenari magico-medievali, l'amore fiabesco) e capacità di sapersi guardare dall'esterno per, quando serve, ridere dei propri clichè.
La prima componente che stupisce in Cenerentola infatti è proprio il divertimento (a fronte di grande serietà nel trattare i momenti importanti della storia), la seconda è come Kenneth Branagh abbia affrontato il compito di fare una favola classica, senza cambiare nulla, semmai aggiungendo un po' più di parte alla matrigna e rimpolpando l'intreccio così da avere un film più corposo. Al netto di un prologo più completo, di una serie di dinamiche più complesse legate al ballo e poi alla ricerca da parte del principe del piede giusto, il sapore è esattamente il medesimo ottenuto decenni fa da Disney, quando per la prima volta creò la ricetta della sua Cenerentola a partire dalle favole tradizionali.

Se i cartoni animati tradizionali si reggono su un ottimo villain, i loro remake in live action si fondano su attori di peso in quei ruoli o come spalle d'eccezione, questa volta tocca a Cate Blanchett. La sua matrigna non ha molto a che vedere con quella disneiana, non solo è più giovane ma dentro di sè ha una piccola fessura dalla quale si intravede qualcosa che non è mai spiegato ma che è molto forte, una motivazione forse, un senso di rivalsa o solo la capacità di un attrice di non riuscire solo a dire le proprie battute ma agirle e nel farlo svelare qualcosa di più del suo personaggio. Eppure Branagh è bravo a sufficienza da non lasciare che Cate Blanchett diventi il film, la tiene ai margini consentendole di dare così il massimo, perchè Cenerentola è la protagonista e per lei rispolvera parte della tradizione (il rapporto con la cenere, da cui il nome, è bellissimo specie quando nasconde la scarpa, tutte le sue speranze di un domani migliore nell'elemento per cui è presa in giro) oltre a darle più profondità con un rapporto inedito con padre e madre.

Azzeccando ritmo e tono Branagh riesce a far funzionare tutto, anche quello che negli altri film del genere risultava più scadente. I molti richiami al cartone animato infatti non sono stonati (topini e gatto Lucifero sono un'invenzione disneiana qui riportata senza esagerare) e anche l'eccessiva fata madrina di Helena Bonham Carter si ferma un passo prima di diventare stucchevole, rimanendo in un piacevole limbo postmoderno (sembra l'unico personaggio in grado di vedere gli eventi "da fuori", come non appartenesse alla favola) che alimenta il film là dove poteva perdere ritmo.

Continua a leggere su BadTaste