Benvenuto Presidente! - la recensione

In un periodo di presidenti al cienma (americani ma anche francesi e italiani) arriva anche la presa in giro della carica più importante del nostro paese. Peccato che sia una filiazione paratelevisiva...

Critico e giornalista cinematografico


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Forse la scelta migliore per Benvenuto Presidente! non era Riccardo Milani, regista più che altro televisivo che al cinema ha portato molti drammi (come Piano, Solo) e una sola commedia (non eccezionale: Auguri professore) o al contrario, dipende da come si voglia vedere la questione, solo la sua mano poteva annacquare e sciogliere, fino a renderla un brodo innocuo e diligente buono per tutti, l'idea alla base del film.

Benvenuto presidente! dovrebbe essere una commedia di fantapolitica, genere molto potente all'estero ma raramente praticato da noi (eppure ora al cinema se la vedrà con un altro film della medesima categoria: Viva la libertà), che arriva in un momento di profonda revisione, almeno a livello di dibattito teorico, dei presupposti della gestione e amministrazione dello stato.

Stando attentissimo a non far riferimento a nessuna corrente politica in particolare (anche se poi inevitabilmente il considerare "tutti alla stessa stregua" e l'espediente comico della sponsorizzazione delle proposte di legge fatte dai cittadini che potrebbero risolvere tantissimi problemi del paese, avvicina la riflessione ad una parte in particolare) Benvenuto presidente! non vuole essere duro come Viva la libertà, ma esprimere, come fanno le commedie più innocue, un'ideale semplice e radicale: che la corruzione della classe politica è figlia diretta della corruzione di quella che vota.

Intorno a questo la mano di Fabio Bonifacci (che dopo due anni lontano dal cinema ora è in sala con 3 film in contemporanea) quasi non si nota, se non per la lotta tra un'idea di film inevitabilmente populista e il disprezzo che l'autore sembra provare per tale tendenza. Manca la sua fluidità, la capacità di giocare con la doppiezza dei personaggi (benchè il protagonista incarni per statuto questa caratteristica) e la ricerca di movimenti anticonvenzionali all'interno di trame o contesti convenzionali. Perchè non è l'applicazione pedissequa delle regole del gioco o l'aderenza ad un modello narrativo basico ad infastidire, quanto la sua interpretazione scialba e senza gusto.

Ma non si può dire che il film non sia riuscito. Benvenuto presidente! infatti appare in ogni suo momento un film concepito per essere quello che è: paratelevisivo, livellato verso il basso e messo in scena con una pigrizia svogliata degna delle peggiori produzioni, solo a tratti rischiarata (ma anche questo è tipico della categoria cui il film appartiene) da un guizzo di scrittura o dal senso di dignità e dall'abilità di chi interpreta.
E in tal senso quel che è forse più fastidioso è che, una volta esaurita la spinta propulsiva dello spunto (i partiti non si accordano su chi nominare presidente della repubblica, allora per protesta ma senza saperlo, votano tutti Giuseppe Garibaldi, che vince, e l'unico che risponda a quel nome e abbia le caratteristiche di eligibilità richieste è un pescatore del Nord Italia, il quale invece che rifiutare accetta) il film naviga nell'incertezza, pare aver esaurito le idee ma dover accumulare minutaggio e così accatasta gag slegate tra loro, tutte facenti riferimento al paradosso di una persona semplice e gioviale posta nella posizione più istituzionale del nostro paese. Si annusa insomma un disprezzo per la narrazione nel senso più canonico e arioso del termine che è inspiegabile.

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