Benvenuti A Casa Mia, la recensione
Con un bersaglio chiaro, Benvenuti A Casa Mia può permettersi di prendere in giro tutti senza ricorrere a troppi buonismi e in questo risultare più coerente e divertente
Il bersaglio della commedia e della presa in giro qui è chiaramente l’ipocrisia intellettuale di sinistra, molto più dei costumi rom, anzi va a merito del film il fatto che nonostante questo non trattenga il colpo e prenda in giro con grande forza tutte le parti in gioco. Gran parte della dinamica di commedia infatti sta nelle parole che la coppia intellettuale sbandiera, in quello che si racconta e nella propria ostentata tolleranza regolarmente minata da un’osservazione spaventata, razzista, timorosa e conservatrice detta subito dopo. Aprire il cancello di casa ma poi nascondere l’argenteria.
E forse proprio per questo, per non aver paura di avere un bersaglio chiaro Benvenuti A Casa Mia risulta così coerente e divertente, si può permettere così tanto di lavorare sugli stereotipi per rinforzarli tutti senza per questo risultare razzista. All’obiettivo poi contribuisce la scelta di far recitare il proprio cast molto sopra le righe ma con una delicatezza che appartiene alla scuola francese (mai “grottesca” come quella italiana quando ci si mette). Soprattutto alla fine il film ottiene di non cadere nell’errore dei suoi protagonisti i quali, una volta accettati i rom, li esibiscono come ornamenti, li usano per definire il proprio progressismo davanti al resto della società, invece Philippe de Chauveron e il suo team di sceneggiatori con cui già aveva realizzato Non Sposate Le Mie Figlie, non usa i rom per fare la figura del progressista ma li prende in giro al pari degli altri.