Benvenuti a Marwen, la recensione
Zemeckis torna a parlare di dipendenze e convalescenze da traumi, unendo reale e computer grafica, ma Benvenuti a Marwen non è Flight
Stavolta l’evento traumatico non è un disastro aereo, ma un pestaggio che ha quasi ucciso il protagonista. Era un artista ma dopo il pestaggio non ha più la mano per poterlo fare e così è diventato fotografo di miniature. Ha costruito un villaggio della seconda guerra mondiale e un universo di finzione in cui i pupazzi hanno le fattezze sue e delle persone che gli sono intorno, e li fotografa come fossero veri. Perché in un certo senso nella sua testa lo sono.
Noi vediamo sia il mondo reale che quello dei pupazzi (in motion capture) vivere avventure parallele e simboliche, in cui gli assalitori sono i nazisti, le donne della sua vita lo salvano e lui, Mark, è un eroe duro come in un film con Lee Marvin.
Teoricamente, insomma, Benvenuti a Marwen è impeccabile, purtroppo molto meno lo è nella pratica. Le avventure del mondo dei pupazzi non possono mai prendere davvero trazione, perché sappiamo essere proiezioni di finzione (però che bello come in quel mondo interno alla testa del protagonista Zemeckis indugi su una violenza esagerata), quelle del vero Mark nemmeno ci riescono, perché molto piccine e continuamente spezzate dai viaggi a Marwen. Di fatto delle due trame, che comunicano di continuo, nessuna trova una forma compiuta.
Soprattutto è tutta la grande parte metaforica dei tacchi a non funzionare. Senza spoilerare nulla, esiste un significato importante legato alle scarpe con il tacco che iniziamo a capire nella seconda parte del film e che dovrebbe viaggiare molto più alto del resto del film, dovrebbe parlarci di umanità, tolleranza, apertura mentale e anticonformismo. Ma è goffa, gridata e sinceramente anche abbastanza stonata. Proprio Zemeckis, che è riuscito sempre a tirare se stesso fuori dalla palude con le proprie forze, qui confeziona un film ovviamente fluido e impeccabile ma che non ha mai la capacità di trovare momenti, immagini, snodi narrativi o interpretazioni (non convince anche Steve Carrell, che pure si impegna) che alimentino il suo film come carbone gettato con forza ad ardere. E quando tenta di volare alto non ci riesce.