Bentornato Presidente, la recensione
Ha il dovere di replicare i meccanismi del primo film ma il cambio alla regia rivolta tutta la prospettiva e rende Bentornato Presidente un film ipercinetico
Mentre il film precedente, diretto da Riccardo Milani, rispondeva allo stile classico italiano, cioè una direzione molto invisibile, fondata sulla recitazione e finalizzata alla chiarezza nella consegna della battuta o della gag, questo sequel non cerca a tutti i costi la risata ma preferisce costruire un racconto paradossale (e quindi divertente) tramite la messa in scena, lavorando su tutti gli aspetti, creando una collaborazione tra chi dirige e chi recita.
A differenza del film precedente stavolta ci sono riferimenti precisi a partiti e politici (i nomi sono tutti finti ma i tratti sono così chiari che è difficile sbagliarsi) e i registi Stasi e Fontana li usano come armi del proprio arsenale invece di consegnarli agli attori e lasciare che ci giochino loro. Il loro film precedente, Metti La Nonna In Freezer (sempre scritto da Fabio Bonifacci) aveva mostrato uno stile più moderno della media ma stavolta, alle prese con una commedia molto più tradizionale, hanno spinto con maggiore decisione sull’imposizione della propria personalità. Là dove la maggior parte dei registi italiani avrebbe realizzato un film classico per un script classico, Stasi e Fontana fanno l’esatto opposto, combattendo l’antico (e ormai marcio) adagio che vuole che la commedia vada diretta con minimalismo e semplicità per poter funzionare.