Benson - La vita è il nemico, la recensione

Dentro a Benson - La vita è il nemico c'è il tentativo di ricostruire una storia piena di bugie ma anche una totale mancanza di tatto

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Benson - La vita è il nemico, il documentario su Richard Benson

È stato presentato a Roma Benson - La vita è il nemico, prodotto da Sarastro Film e distribuito (non è chiaro ancora come e dove) da PianoB Distribuzioni. Ci sono due ragioni principali per le quali girare un documentario: una è fornire una lettura di una storia o di un contesto attraverso la lingua delle immagini, è la ragione che spinge Frederick Wiseman, Gianfranco Rosi o Michael Moore; un’altra è documentare qualcosa che non deve essere perduto, che è la ragione ad esempio dietro The Last Waltz di Martin Scorsese e quella dietro questo film su Richard Benson.

Girato tra il 2017 e la morte di Benson con interviste a lui stesso, a Esther Esposito e a molte persone che in diversi momenti hanno girato intorno a Richard Benson (dai musicisti con i quali aveva iniziato, gli amici dei primi anni e poi studenti e sodali come Gianni Neri e colleghi di reti regionali come Massimo Marino), è in parte un racconto abbastanza onesto e abbastanza completo della sua vita, che da sempre è un terreno di mistificazione, negoziazione e mitopoiesi (ma nemmeno qui si riesce a fare chiarezza sull'incidente di Ponte Sisto). Dall’altra è la cronaca degli ultimi anni, delle malattie, delle difficoltà e quindi in un certo senso di un atteggiamento verso la vita e la morte.

Quello che si intuisce che doveva accadere in Benson - La vita è il nemico è probabilmente la rappresentazione di una ostinazione fuori dai canoni, di una maniera di concepire se stessi e la vita senza troppo riguardo per la morte, un consumo incredibile e in un certo senso incredibilmente vitale di tutto quello che si può consumare fino alla scarnificazione personale. Ma troppo poco fa il film in questo senso perché emerga una vera lettura (specialmente a livello visivo è molto povero) e soprattutto troppo schiacciato è nella terza parte sull’ultimo periodo e gli ultimi anni.

Da un certo momento in poi il documentario ripete costantemente i medesimi concetti, torna sugli stessi passi e insiste in maniere non solo stucchevoli ma anche discutibili sulla pornografia del dolore e sul pietismo. Sguazza nel tragico Benson - La vita è il nemico e sembra non porsi il problema di come rappresentare e come guardare il proprio soggetto (che invece appare sempre più fiero del contesto e delle condizioni in cui è rappresentato) nel suo momento di maggiore difficoltà, anzi invece che cercare il tatto ha una brutalità insistita, ripetuta e continua nel mettere in scena il peggio, senza nemmeno la grazia della creazione di un senso più grande a giustificarlo.

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