Benson - La vita è il nemico, la recensione
Dentro a Benson - La vita è il nemico c'è il tentativo di ricostruire una storia piena di bugie ma anche una totale mancanza di tatto
La recensione di Benson - La vita è il nemico, il documentario su Richard Benson
Girato tra il 2017 e la morte di Benson con interviste a lui stesso, a Esther Esposito e a molte persone che in diversi momenti hanno girato intorno a Richard Benson (dai musicisti con i quali aveva iniziato, gli amici dei primi anni e poi studenti e sodali come Gianni Neri e colleghi di reti regionali come Massimo Marino), è in parte un racconto abbastanza onesto e abbastanza completo della sua vita, che da sempre è un terreno di mistificazione, negoziazione e mitopoiesi (ma nemmeno qui si riesce a fare chiarezza sull'incidente di Ponte Sisto). Dall’altra è la cronaca degli ultimi anni, delle malattie, delle difficoltà e quindi in un certo senso di un atteggiamento verso la vita e la morte.
Da un certo momento in poi il documentario ripete costantemente i medesimi concetti, torna sugli stessi passi e insiste in maniere non solo stucchevoli ma anche discutibili sulla pornografia del dolore e sul pietismo. Sguazza nel tragico Benson - La vita è il nemico e sembra non porsi il problema di come rappresentare e come guardare il proprio soggetto (che invece appare sempre più fiero del contesto e delle condizioni in cui è rappresentato) nel suo momento di maggiore difficoltà, anzi invece che cercare il tatto ha una brutalità insistita, ripetuta e continua nel mettere in scena il peggio, senza nemmeno la grazia della creazione di un senso più grande a giustificarlo.