Ben Crump: lotta per i diritti civili, la recensione

Ben Crump: lotta per i diritti civili nell’esplorare una figura così importante come quella di Crump sembra guardarne la vita pescando qua e là in modo piuttosto casuale.

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La recensione di Ben Crump: lotta per i diritti civili, su Netflix dal 19 giugno

“Tutto ciò che ho fatto nella mia vita mi ha portato al caso di George Floyd”: esordisce così, voce off e figura in silhouette, Ben Crump: lotta per diritti civili, ritratto documentario diretto da Nadia Hallgren sul “procuratore dell’America nera” Ben Crump. Quello di George Floyd è lo snodo più importante nella carriera dell’avvocato civilista e Nadia Hallgreen lo usa come cornice narrativa e suggestione lungo tutto il documentario, facendone una premessa dai tratti quasi trascendentali (una missione di vita che aspettiamo con impazienza si veda realizzata sullo schermo) che tuttavia nella sua asciutta rappresentazione finale sgonfia l’epica di predestinazione e le aspettative che aveva costruito con pazienza fino a quel momento.

Il documentario però non si esaurisce con questo, né per questo lieve “sbilanciamento” narrativo si fa meno interessante. Certo è che Ben Crump: lotta per i diritti civili nell’esplorare una figura così importante come quella di Crump - simbolo della comunità nera e personaggio al centro del racconto mediatico tra entusiastiche esaltazioni e agghiaccianti campagne di screditamento - sembra guardarne la vita pescando qua e là in modo piuttosto casuale. Nadia Hallgren sceglie, come indica il primo cartello, di seguire un anno della vita professionale e privata di Crump dal 2020 al 2021: quello che vediamo è, commentato qua e là dalle parole di Crump, il susseguirsi di diversi casi che lo vedono impegnato (ad esempio Breanna Taylor, Andre Hill, Fred Cox, ma anche casi di discriminazione di diverso tipo, ambientale e sistemico) alternato a momenti in cui è solo, in cui riflette, chiama la famiglia e ripercorre i luoghi della sua vita.

Della parte performativa del suo lavoro vediamo un solo lato: i discorsi pubblici davanti a platee e alle telecamere e quelli privati che fa con i suoi clienti nel momento in cui li deve consigliare/consolare. In questa sorta di backstage della sua professione riusciamo a cogliere forse meno di quanto vorremmo: un po’ lavorativo e un po’ personale ma senza mai svelare troppo nessuno dei due aspetti, il documentario mantiene uno sguardo a metà che stuzzica l’interesse per tutto ma che non soddisfa mai pienamente le aspettative di racconto che crea.

Lo stesso discorso vale purtroppo anche per la riflessione sui media che Crump pone ma che Hallgreen sceglie di mantenere come pura suggestione. Crump parla diverse volte, durante i suoi discorsi e lungo l’intervista, dell’importanza che hanno per il suo lavoro e per la lotta degli afroamericani i simboli e le immagini, soprattutto in un’epoca come quella attuale dove le immagini sono alla portata di tutti e i media sono la porta principale per accedere al consenso. Questo aspetto sarebbe cruciale perché lui stesso ammette che è necessario creare dei “casi” per riuscire ad arrivare ai processi - e l’arte di crearli è ciò in cui, ci viene detto, Crump eccelle. Questa però è una cosa che ci viene solamente detta a parole ma che, purtroppo, rimane relegata alle tante cose che il documentario ci suggerisce senza mai raccontarci fino in fondo.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Ben Crump: lotta per i diritti civili? Scrivetelo nei commenti!

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