Belli di Papà, la recensione

Inizia bene Belli di papà ma subito vira verso ciò che già vediamo accadere nelle nostre commedie: passatismo nella storia e banalizza

Critico e giornalista cinematografico


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Si va di nuovo in provincia. Ancora una volta una commedia italiana fa spostare i suoi personaggi dalla città al piccolo centro (preferibilmente la prima al nord e la seconda al sud) per fargli scoprire la vita vera, cosa conti seriamente e anche una dimensione più pacifica e in linea con il loro animo. Stavolta sono tre figli di papà, tre ragazzi ricchi e privilegiati, trascurati troppo a lungo da un padre che aveva sempre da lavorare per costruire il suo impero e ora si trova tre deficienti che hanno solo idee di business senza senso e dilapidano denaro come non fosse loro. Inscenando una bancarotta li costringerà a stare senza un soldo a Taranto, là dove la sua vita (e la sua fortuna) è iniziata, obbligati a trovare lavori semplici e non qualificati per guadagnare pochi euro a fronte di tanta fatica.

Belli di papà viene dal Messico, è un remake nazionalizzato e molto adattato all'Italia, lo stesso è pienamente in linea con l'idea che il cinema italiano di commedia degli ultimi anni sta cavalcando, ovvero che l'unica possibile salvezza sia il rifiuto della modernità e la fuga nel passato. Perchè la provincia a cui tutti corrono, la campagna o il paesino è sempre sinonimo di un altro tempo, lì i personaggi sono lontani da tutto ciò che caratterizza il presente sia come ritmi, che come usi e costumi, che infine (ovviamente) come tecnologia. Una vita che pare essersi fermata agli anni '50 o '70 e per questo, ovviamente, autentica. È il tema principale di quasi tutti i nostri film (drammatici o commedia) negli ultimi anni: tutto ciò che di nuovo sta arrivando e cambiando le nostre vite è un problema mai un'opportunità.
Non solo, è proprio da questo contrasto delle stupidaggini moderne a fronte della serietà e della coriacea veracità della tradizione che scaturisce gran parte dell'umorismo. Sebbene il film in realtà voli solo nella prima parte, quella urbana in cui Abatantuono troneggia di più come aguzzino dei propri figli, massacrandoli nelle interazioni uno contro uno, il grosso del film prevede che i figli di papà siano comicamente inadeguati ad una vita concreta, che non perde tempo appresso alla fumosa inconsistenza dell'oggi.

Di tutto ciò che di moderno e contemporaneo può dare salvezza ad un irrimediabile viziato, fornendogli strumenti a basso costo per le sue idee o la sua voglia di fare, non c'è traccia. La salvezza sono i lavori di una volta.

Non manca infine un crescente buonismo che stempera sempre di più il tono caustico e asciutto dell'inizio. Belli di papà gradualmente perde i suoi pregi, diventa sempre più ripetitivo, diventa sempre più semplice nel ritmo e meno rigoroso nell'intreccio (il finale prevede il più classico dei montaggi alternati con tempi sfasati, seguendo il quale alcuni personaggi coprirebbero una distanza incredibile in pochi minuti). Soprattutto il film ben presto perde anche la voglia di avere qualcosa da dire o una tipologia umana da ritrarre con gusto, preferendogli l'approdo ai soliti personaggi, le solite bontà e le consuete, impersonali e annacquate problematiche che ovviamente non sono tali.

Nessuno pretende la critica sociale aspra, la violenza esagerata, il cinismo a tutti i costi o la cattiveria di Maccio Capatonda (per quanto nessuno di questi ingredienti faccia male ad una commedia) ma semplicemente una voce originale e soprattutto coerente dall'inizio alla fine.

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