Belli ciao, la recensione

Un film che fa scontrare nord Italia e sud Italia, identificando nel primo la corruzione del nuovo e nel secondo la vera anima italiana

Critico e giornalista cinematografico


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Belli ciao, la recensione

Forse ha un valore simbolico che va colto il fatto che Belli ciao, secondo film di Pio e Amedeo, esca il 1° gennaio del 2022, di fatto aprendo un nuovo anno ma anche chiudendo quest’annata fatta di trasformazioni. Perché non solo è uno dei molti esponenti del cinema vecchio che sì fa da troppi anni in Italia (e ancora a lungo sì farà) ma se ne propone come una summa. È la storia di due amici pugliesi, uno rimasto al paese e uno andato al nord. Uno è diventato qualcuno nella parte moderna del paese e l’altro è rimasto a bocca asciutta in quella più tradizionale, così quando il secondo va al nord dal primo noi assistiamo allo scontro di due Italie, quella autentica e quella dell’apparenza. Il più classico dei nord contro sud finalizzato all’esaltazione del meridione come culla dei valori autentici e dell’italianità più verace, di quello che siamo e che non dobbiamo smettere di essere, messo a repentaglio dai tentacoli di una vita moderna. Il sud, identificato come sempre come il nostro passato, è la parte migliore di noi. E quando alla fine una massa di persone dalla stazione di Milano si riverserà sui treni per tornare al paese tutti insieme sarà forse l’atto di maggior rifiuto del nuovo e delle possibilità del cambiamento che il nostro cinema ha espresso da Benvenuti al Sud, che non era certo il primo film sul tema ma poco più di dieci anni fa ne è stata la punta più avanzata e il simbolo più evidente.

Pio e Amedeo in realtà non vogliono fare un film che sia loro, non vogliono cioè presentarsi al cinema con personalità, vogliono semmai adattarsi al contenitore e girare qualcosa che non sia diverso dal resto, che non scombini le aspettative del pubblico e non proponga niente di diverso da ciò che (immaginano loro e i produttori) incassa. Vogliono metterci la faccia, adesso sono dei volti che la televisione ha reso più spendibili rispetto al primo tentativo, quasi 8 anni fa con Amici come noi (film in tutto e per tutto identico a questo per finalità e caratteristiche). Per loro il cinema non è la maniera di creare qualcosa di proprio e monetizzarlo, è semmai un’altra forma di monetizzazione di un successo già arrivato, facendo quello che fanno di solito quelli che vogliono monetizzare. Non è diverso dal pubblicare un libro con le battute migliori. È un’operazione di speculazione: investire poco (specialmente a livello creativo) e magari incassare molto sfruttando il momento giusto.

A dirigere c’è Gennaro Nunziante, operaio già al servizio del comico televisivo di maggiore successo di questi anni, Checco Zalone, regista dallo stomaco forte, pronto a tutto, che non si tira mai indietro (ha girato anche Il vegetale con Rovazzi, e anch'esso, guarda un po', su una fuga verso le provincia) e non ha nessuna paura di ricalcare tutte le scene che abbiamo visto in tutte le altre commedie, come in un medley infernale.

A salvare tutto, in teoria, dovrebbero comunque esserci loro due, Pio e Amedeo, che in quanto comici dovrebbero essere capaci di dare vitalità anche alle routine più abusate, di interpretare anche le barzellette più risapute con una verve che le renda efficaci. Ma sono decisamente più spenti di quando in televisione maltrattano celebrità o se la prendono con le minoranze. Per l’occasione dismettono anche quell’atteggiamento guascone di provincia, da scherzi da prete o da bassezze adolescenziali che gli ha creato un pubblico da strapaese.

Ben lungi dal pensare di poter prevedere l’esito al botteghino (tutto è possibile) è certo che Belli ciao è un fallimento non solo come film (nessuno sì aspettava nulla, in fondo) ma anche come “film di Pio e Amedeo”, qualsiasi cosa questa locuzione possa voler dire e a qualsiasi livello della vostra scala di valori lo vogliate collocare.

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