La Bella e La Bestia [2017], la recensione
Calcato scena per scena sul cartone Disney del 1991, l'adattamento in carne e ossa di La Bella e La Bestia è un'opera di rievocazione del classico riuscita
Con un mestierante come Bill Condon a guidare e lo sceneggiatore del successo indie-romantico Noi Siamo Infinito (sempre con Emma Watson) Stephen Chboski, bilanciato dal più sicuro uomo di casa Disney Evan Spiliotpoulos, La Bella e La Bestia si sforza con tutte le proprie energie di riproporre la magia del film animato, canzone per canzone, abito per abito, smorfia per smorfia, effetto speciale per effetto speciale, come la più complessa ma anche riuscita delle rappresentazioni che avvengono nei suoi parchi. E quelle volte che timidamente si azzarda ad aggiungere qualcosa (qualche dettaglio per dare più peso alla figura del padre interpretato da Kevin Kline) dimostra che, con quel piglio e quelle idee, forse la scelta di rimanere fedele maniacalmente al cartone era la migliore.
Non è però uno sforzo di pigrizia né uno che porta ad un esito deprecabile, anzi. Ricreare le medesime sensazioni di un altro film, con quella pregnanza, quell’evidenza e quella capacità di gestire il ritmo e centrare il “classico” non solo non è semplice ma è anche portato a termine con quella maestria e conoscenza dei meccanismi più ancestrali del racconto che non da oggi riconosciamo alla Walt Disney Pictures. Non c’è niente che oggi sia più fuori dal tempo di una storia come La Bella e La Bestia, specialmente raccontata in questa maniera, immediatamente passata, vintage e ancestrale per come richiama uomini e donne alla parte migliore dei ruoli che storicamente la società gli ha affidato.
Uno spettacolo di emancipazione all’interno di ogni regola