Bel-Air (prima stagione): la recensione

Con la sua prima stagione Bel-Air dimostra di poter raccontare qualcosa di importante in maniera profondamente diversa dall'originale

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Bel-Air la recensione della prima stagione, disponibile su Now nella sezione dedicata a Peacock.

Chissà cosa ha pensato Morgan Cooper quando il suo video dedicato a un ipotetico reboot drammatico di Willy il principe di Bel-Air ha fatto il giro del mondo. È finito perfino tra le mani di Will Smith (prima che la cronaca parlasse solo di quelle alzate sul palco degli Oscar), che ha preso al balzo l'idea come una palla da basket e ha convinto Peacock a produrre una serie reale basata su quel concept. A febbraio, con il debutto ufficiale dei primi episodi, Bel-Air è stata accolta in maniera molto fredda da critica e pubblico. Probabilmente non avevano ben capito qual era lo scopo dell'intero progetto, dato che il commento più diffuso era quanto non fosse leggera come l'originale.
Disponibile nella sezione Peacock di Now, la prima stagione di Bel-Air si è conclusa negli scorsi giorni, col decimo episodio che ha messo Will (Jabari Banks) di fronte a un'importante verità. La serie si pone ora come uno dei prodotti originali di punta della piattaforma, dimostrando di poter raccontare qualcosa in maniera profondamente diversa dall'originale.

Bel-Air: la trama

La scintilla che dà il via alle vicende di Bel-Air è la stessa dell'iconica sigla resa famosa in Italia da Edoardo Nevola. Will è una giovane promessa sportiva del liceo di Philadelphia, amico di tutti, un dongiovanni e gioia della madre infermiera. Un giorno viene sfidato a una partita di pallacanestro da dei tipi poco raccomandabili, ma la sfida finisce male, con tanto di colpi d'arma da fuoco che portano all'arresto del protagonista. Scagionato dallo zio Phil (Adrian Holmes), ma minacciato dal gangster più pericoloso del quartiere, Will si ritrova di fronte a una sola scelta, andare via da Philadelphia per non rischiare la vita. Arriva così a Bel-Air, proprio nell'enorme magione dello zio, dove incontra la famiglia Banks e il maggiordomo tuttofare Geoffrey(Jimmy Akingbola). Inizia così la nuova vita di Will, tra una nuova scuola, una nuova squadra di basket e gli impegni politici dello zio, candidato a procuratore distrettuale. Sfortunatamente per il nostro protagonista però, ogni Banks sembra nascondere un segreto.

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La serie, scritta da Morgan Cooper, Malcolm Spellman, TJ Brady e Rasheed Newson rende il tutto attuale, come se fosse ambientato ai nostri giorni. Quindi Will non abbandona la madre e gli amici, a Bel-Air ha uno smartphone con cui sentirli quotidianamente. E nel mondo dei social, con una cugina influencer (Hilary, protagonista di quello che forse è l'arco narrativo più debole di questa prima stagione), basta essere bravi a giocare a basket per attirare attenzioni indesiderate e non essere più al sicuro. Ogni personaggio è stato riscritto, mantenendo però salde le caratteristiche fondamentali. Un processo necessario quando si crea un reboot. Così Geoffrey passa da semplice maggiordomo a sicario, guarda del corpo di Phil Banks e comunque manutentore della villa. Carlton (Olly Sholotan) che sembra all'apparenza un bulletto dipendente dallo xanax, proseguendo nella visione capirete che nasconde la personalità insicura e il passato difficile che lo aiuteranno a legare col cugino. In una maniera molto più realistica rispetto a quanto accadeva nell'originale, ma mantenendo la costante sensazione di rivalità tra fratelli tra i due. Questo legame di fiducia reciproca, che si sviluppa nel corso della prima stagione, è probabilmente il punto più forte della produzione.

Un reboot drammatico che funziona

Bel- Air affronta argomenti diversi, dalla dipendenza di qualsiasi tipo, fino alla violenza verbale e fisica, passando ovviamente per il razzismo e il ceto sociale (come faceva anche in toni più leggeri l'originale). Lo fa nella maniera giusta, e che funziona senza risultare troppo avvilente, lo fa inserendo ogni tanto qualche easter egg (come l'iconico DAMN!), lo fa spesso anche troppo prevedibilmente. Quando però punta il dito verso quella parte di comunità afroamericana che si è adagiata sugli allora, sacrificando le proprie origini per il lusso, allora è lì che Bel-Air dà il proprio meglio. Nella critica al cosa è disposta a fare la gente (di qualsiasi etnia) per mantenere la propria posizione, il proprio benestare, e la propria ricchezza.
Per quanto riguarda la regia e la recitazione purtroppo, salvo rari casi, ci troviamo di fronte a un prodotto molto standard, con piccole eccezioni ma con grandi margini di miglioramento. Ottime invece le musiche, che esplorano tutti i colori del jazz, del rap, del pop e del rock, un vero arcobaleno di artisti in grado di esprimere al meglio la situazione a schermo.

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Certo, forse nella Bel-Air anni '90 di Willy si stava meglio, con un Carlton ballerino e una Hillary che faceva sola presenza, ma quella di Bel-Air è una realtà moderna, diversa e non per questo meno riuscita. Alcune problematiche potrebbero essere state appesantite, o magari potrebbero essere semplicemente fuori dalla nostra capacità di giudizio. L'inclusione di nuovi sbocchi per determinati personaggi poi, è il tocco necessario a renderli più di un comic relief, a dargli una tridimensionalità che purtroppo nella serie anni '90 mancava. Con questo non voglio certo distruggere Willy il principe di Bel-Air, ma voglio dare spazio a un'alternativa, a qualcosa che cerca di raccontare la propria storia, utilizzando solamente dei punti in comune con l'adorabile sit-com. Con la seconda stagione Bel-Air deve osare ancora di più, staccandosi ulteriormente dall'ombra dello show originale, fregandosene dei giudizi dei puristi e cercando di portare a termine il proprio percorso, proprio come il giovane Will alla fine del decimo episodio.

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