Becoming Karl Lagerfeld (prima stagione): la recensione 

A pochi anni dalla morte, Becoming Karl Lagerfeld racconta il lato più intimo dello stilista, interpretato da un eccezionale Daniel Brühl

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In arrivo il 7 Giugno su Disney+ l’attesissima Becoming Karl Lagerfeld, la serie tv con protagonista Daniel Brühl sugli esordi del famoso stilista tedesco. Ecco la nostra recensione.

“Non c'è stato un giorno della mia vita in cui non abbia sognato di diventare un grande uomo”: una citazione dello scrittore Robert Musil che sentiamo ripetere non una ma ben due volte nel corso del primo episodio di Becoming Karl Lagerfeld, la nuova serie tv tratta dal bestseller “Kaiser Karl” della giornalista Raphaëlle Bacqué. Sembra la dichiarazione d’intenti di una serie che tra conflitti interiori, sfilate glamour e passioni distruttive racconta in sei episodi l’ascesa di uno degli stilisti più misteriosi e controversi della storia della moda.

L’ascesa di un icône de la mode

La storia di Becoming Karl Lagerfeld si concentra in un decennio partendo dal 1972, quando lo stilista è reduce dal fallimento con Dior ed è nel pieno della sua fase da “mercenario del prêt-à-portercome lo definisce sua madre. In quell’anno Karl Lagerfeld ha 38 anni (anche se dice a tutti di averne 35), è perlopiù sconosciuto al pubblico e non è ancora l’uomo dallo stile e dall’aspetto ben definito come lo conosciamo oggi. La sua vita cambia radicalmente quando si innamora di Jacques de Bascher, un giovane e spregiudicato dandy che lo spronerà a dare una svolta alla sua carriera e a sfidare il suo amico e rivale Yves Saint Laurent, ormai prodigio dell’haute couture. Tra Parigi, Roma e Monaco, Becoming Karl Lagerfeld porta lo spettatore nel cuore degli anni ’70, per esplorare la vita sia professionale che personale del cosiddetto Kaiser della moda, una personalità complessa e spesso nascosta e che di lì a poco sarebbe entrato nell’Olimpo della moda non solo parigina ma mondiale. 

Amore e alta moda 

La serie è ideata e sceneggiata da un team tutto al femminile, composto da Isaure Pisani-Ferry, Jennifer Have, la stessa autrice Raphaëlle Bacqué, Dominique BaumardNathalie Hertzberg, che insieme firmano una storia che non si limita a scandire le tappe professionali del couturier tedesco, ma piuttosto vuole indagare quali conflitti e vicissitudini personali si celano dietro. Nel 1972 infatti Karl Lagerfeld è uno stilista insoddisfatto e alla disperata ricerca di riconoscimento, ma che finge di non avere ambizioni. Sarà l’incontro con Jacques a cambiare tutto: da quel momento ogni decisione, evento o mossa d’affari sarà dettata da un qualche pulsione personale, quasi sempre legata al suo amore platonico per il giovane. 

Secondo i resoconti mondani i due infatti hanno condiviso per diciotto anni un’amore senza avere mai rapporti fisici, e questo per volontà di Lagerfeld, particolare che nella serie è spesso fulcro della storia ma mai davvero indagato ed approfondito. Lo stilista tedesco era infatti storicamente asessuale e la serie tv rispetta questo dettaglio, ma allo stesso tempo suggerisce che qualcosa di più profondo si celi dietro questo aspetto, senza però mai spiegare o anche semplicemente alludere a cosa. Il contrasto tra i due, libertino e affamato di vita Jacques, rigido e puritano Karl, lo struggimento e il dolore del loro amore e del rapporto di entrambi con YSL sono l’anima della serie, molto più che la moda e la carriera dello stilista. 

Dietro le quinte della passerella 

La serie è scandita da date di eventi secondo le stagioni dell’alta moda, partendo dall’inverno del 1972 fino alla primavera del 1981 senza mai diventare un resonconto della carriera di Lagerfeld, ma piuttosto un racconto di fasi della sua vita. In particolare si parla del suo periodo freelance, quando si affermò come stilista passando dal prêt-à-porter per maison di moda come Fendi e Chloé fino alla direzione artistica di quest’ultima. La traiettoria narrativa principale è però sempre legata al racconto della sfera personale come motore di quella professionale, in un gioco a catena che coinvolge e che non annoia, anche grazie ad un ritmo mai troppo lento o troppo veloce ma sempre incalzante. In quest'ottica la moda quasi passa in secondo piano: le sfilate e gli abiti messi in scena non sono tanti come si potrebbe credere, mentre molte di più sono le scene intimiste dell’uomo Karl, sempre contrapposto all’uomo che invece Lagerfeld decideva di mostrare in società. 

Becoming Karl Lagerfeld infatti mostra (ma non indaga) le manie, i vizi e le restrizioni che lo stilista si imponeva, l’abito, o meglio, la maschera che meticolosamente indossava ogni giorno, per mettere distanza fra sé stesso e gli altri. Siamo ancora lontani dai look in bianco e nero diventati iconici negli anni: il Karl di Brühl ha sì la coda bassa e gli occhiali da sole scuri, ma è all’inizio della sua carriera e non possiede ancora uno stile preciso. È un creativo che si adatta e che cambia, dalla personalità molto più camaleontica ed istrionica, anche se sempre austera e rigorosa, sia nell’aspetto che nei modi. La moda è quindi solo un mezzo per raccontare una storia personale fatta di perdite, di dolori e di traumi (mai però del tutto approfonditi): d’altronde per citare lo stesso Lagerfeld “la moda non ha nulla a che vedere con i vestiti”

Un magnifico Daniel Brühl

Nel ruolo del couturier l’attore tedesco Daniel Brühl che regala una delle interpretazioni più belle della sua carriera. Come sempre quando si tratta di personaggi eccentrici il rischio della caricatura o dell’overacting è sempre altissimo, ma Brühl mantiene una performance sempre centratissima, che utilizza il corpo e la voce in modo solo apparentemente casuale.

La voce in particolare, che si modula in francese, tedesco, italiano e inglese (Brühl è notoriamente poliglotta), è la chiave insieme alle espressioni del viso, ora dure, ora commosse e ora fintamente rilassate, che l’attore utilizza per provare a schiudere il mistero di un uomo spigoloso e dai mille angoli bui, costantemente all’erta, frustrato, represso, affamato di successo e che si strugge per amore. Daniel Brühl riesce ad esprimere un'infinita gamma di emozioni spesso con una sola espressione del viso, rendendo il suo Karl ambiguo, crudele ed impenetrabile ma allo stesso tempo fragile ed umano. 

Un cast internazionale

Meno memorabile ma comunque convincente il resto del cast, dall’affascinante ma fragile performance di Théodore Pellerin (Beau ha paura) nel ruolo di Jacques de Bascher alle interpretazioni poco pregnanti di Arnaud Valois (120 battiti al minuto) nei panni di Yves Saint Laurent e di Alex Lutz (Strangers by Night) in quelle di Pierre Bergé. Calda ed empatica la performance di Agnès Jaoui (Il gusto degli altri) nei panni della fondatrice della casa di moda Chloé Gaby Aghion, fredda ed algida quella dell’attrice tedesca Lisa Kreuzer (celebre al pubblico per la serie Dark) nel ruolo della madre di Lagerfeld. La serie conta poi camei importanti di personalità che hanno frequentato Lagerfeld all’epoca, come Paloma Picasso, col volto di Jeanne Damas, la diva Marlene Dietrich, interpretata da Sunnyi Melles, Paul Spera nel ruolo di Andy Warhol e anche l’italiana Giorgia Sinicorni nel ruolo di Carla Fendi. Un cast internazionale guidato da una star internazionale nel vero senso della parola. 

Glamour e decadenza 

In Becoming Karl Lagerfeld la moda non sarà centrale come ci si aspetterebbe, ma stiamo pur sempre parlando della biografia di uno stilista, il glamour è di default. I costumi, curati nei minimi dettagli dalla costumista Pascaline Chevanne, diventano, quando inquadrati, dei personaggi veri e propri; gli abiti, e parliamo perlopiù di quelli maschili, e l’azione stessa di indossarli riescono a catturare l’essenza di un personaggio ma anche di un’era della moda ben precisa, quella delle giacche di velluto, dei foulard, delle spille e dei pantaloni a zampa.

Un’epoca, quella degli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80, che muovendosi tra Parigi e Roma viene immortalata dalla regia in modi vari ed inaspettati, con una messa in scena ora psichedelica, ora decadente, ora calda e accesa. Laboratori di moda, piazze, pâtisserie, château di campagna e palazzi di città, ogni ambientazione è esteticamente impeccabile oltre che storicamente accurata, e questo rende la serie piacevole da vedere oltre che da guardare. 

Un finale interrotto 

Becoming Karl Lagerfeld si chiude con un cliffhanger se così si può dire di una serie biografica: l’offerta per Lagerfeld di diventare direttore creativo di Chanel, offerta che sappiamo accetterà, restando a capo della maison francese per quasi quarant’anni. La miniserie per questa prima stagione fa un buon lavoro nel delineare l’uomo Karl Lagerfeld, ma fallisce nell’approfondimento psicologico, mostrandoci le conseguenze e non le origini di determinati comportamenti e motivazioni e lasciando lo spettatore con la curiosità di sapere su come e quando siano nati. In questo c'è sicuramente fedeltà alla reputazione del protagonista, da sempre avvolto in un alone di mistero che lo circonda ancora oggi dopo cinque anni dalla morte. 

Karl Lagerfeld è forse uno degli stilisti più controversi della storia, noto per la sua grassofobia e per le sue opinioni politiche discutibili, ma nulla di tutto questo viene accennato nella miniserie, se non qualche vago riferimento ai rapporti familiari col nazismo. Una seconda stagione non è stata per ora annunciata, ma sei episodi sembrano davvero pochi per raccontare la vita di un’icona sviscerandola in profondità. Per ora Becoming Karl Lagerfeld sembra la prima parte di una serie molto ben fatta, adatta a chi conosce il mondo della moda ma anche ai semplici curiosi, con un protagonista eccezionale ed una ricostruzione storica curata ed accattivante. 

Becoming Karl Lagerfeld è prodotta da Gaumont e Jour Premier e sarà disponibile dal 7 Giugno su Disney+. Voi la guarderete? Commentate se avete un abbonamento a BadTaste+!  

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