Beckett, la recensione - Locarno74
Con un sottile feeling da cinema europeo d'esportazione degli anni '90, Beckett cerca di unire azione all'americana con un sentire europeo
Con un inizio intimo, pieno di questioni in sospeso, colpe e illustrazione dei caratteri dei due amanti protagonisti, Beckett prova con una certa forza a stabilire delle premesse più approfondite del solito, più europee, per quella che invece sarà una storia che si muove dentro lo scheletro di un genere (e sotto-genere) altamente codificati. È il cinema di americani come tanti soli e nei guai in Europa. È Frantic (nei suoi momenti migliori).
Il Beckett del titolo è un programmatore in vacanza in Grecia con la fidanzata, che in un incidente d’auto vede per un attimo qualcosa che non doveva vedere e ha la sventurata idea di raccontarlo alla polizia, la quale è coinvolta nella questione e tenta di ucciderlo. Non ci riesce, e così inizia la caccia.
La Grecia però non è solo un posto con una lingua (e dei caratteri) che Beckett non comprende minimamente, è anche un paese in tumulto, uno in cui le sanzioni dell’Unione Europea hanno creato sacche di resistenza che lottano contro il governo e i partiti dell’estrema destra, tutto verso una grande manifestazione che sta per avere luogo.
La dicotomia di questo film coprodotto tra Europa, un po’ di America, un po’ di Sudamerica e molta Italia (c’è Luca Guadagnino dietro), con Netflix a fare da paciere mondiale per la distribuzione, è tutta tra appartenere alla tradizione europea e giocare con il suo stile nel medesimo campo da gioco del thriller d’azione americano di qualche decennio fa. Questo contrasto (e questa impostazione vintage ben curata) è quello che produce i risultati migliori e anche i problemi del film. L’azione, specie le colluttazioni o le dinamiche più esagerate di fuga, non sono mai all’altezza dei loro modelli, come anche le ragioni, le motivazioni e le spiegazioni sono ben poco sottili. Più interessante invece è tutto il lato Brian DePalma che Ferdinando Cito Filomarino inietta nel film, quello dell’uso degli spazi urbani per un’indagine di un uomo comune, la grande manifestazione, il piccolo uomo dentro una città che non capisce bene e in cui non sa come muoversi fino al montaggio asciuttissimo e tirato, che tampona qualche problema e dà al film un bel ritmo, anche nelle prime e più incerte parti sentimentali.
Musiche (sorprendentemente) ordinarie di Ryuichi Sakamoto.