All The Beauty And The Bloodshed, la recensione

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione del documentario di Laura Poitras All The Beauty And The Bloodshed presentato al festival di Venezia

Se c’è qualcuno oggi che documenta l’attivismo meno raccontato o più difficile da scovare è Laura Poitras. Lo fa alle volte con un accesso alle vere persone che vale da solo la visione (Citizenfour), altre con la capacità di scovare battaglie nei meandri della società. In ogni caso il suo interesse è fare anch’essa la propria parte, fare attivismo audiovisivo documentando un’ingiustizia nei giorni in cui avviene e mostrando la tenacia della battaglia combattuta contro di essa. 

Stavolta a combattere con tutta se stessa contro dei giganti è Nan Goldin, fotografa e artista di fama mondiale che è stata anch’essa vittima dell’ossicodone, farmaco ad alto tasso di dipendenza, venduto e prescritto senza ritegno, che ha mietuto vittime a migliaia e a cui lei è sopravvissuta. Da quel momento sì batte contro la famiglia Sackler che il medicinale lo ha commercializzato per anni e anni sapendo bene le conseguenze e arricchendosi. La battaglia, oltre che in tribunale, è condotta attraverso i musei, dove i Sackler finanziano intere aree ed esposizioni. La richiesta è di non consentirgli mai più di lavare la propria immagine in quel modo.

Questa battaglia presente è alternata poi con la ricostruzione della vita della Goldin, lei che ha usato la fotografia per documentare il mondo che viveva, cioè la cultura underground omosessuale e anticonformista di fine anni ‘70 e inizio anni ‘80. “Nessuno fotografava la propria vita all’epoca” ricorda un gallerista spiegando quanto lei stessa fosse fuori da ogni canone e abbia fatto delle immagini che rappresentavano la sua quotidianità una forma d’arte, usando la rappresentazione di una comunità o dei fidanzati per parlare di altro, della condizione umana.

Come sempre Laura Poitras non guarda davvero agli ambiti in cui la lotta si concretizza, non indaga, non va a scavare, a lei interessa molto di più mostrare la forza e la violenza dell’oppressore sull’oppresso. Non tanto quindi come faccia Davide a riuscire a lottare contro Golia, ma quanto forte ne venga colpito senza cedere. Stavolta però il soggetto sembra meno clamoroso che in passato e se sicuramente dentro la storia di Nan Goldin c’è un grande film (basti pensare alla parte sulla sorella, l’ingiustizia del passato da raffrontare a quella del presente) sembra che Laura Poitras non l’abbia visto e si sia concentrata su uno più fiacco.

Continua a leggere su BadTaste