Beautiful Minds, la recensione
Beautiful Minds è un film dallo spirito ottimista ma senza sostanza, che si affida decisamente di più all’interpretazione di chi guarda che alle sue stesse capacità.
È inutile girarci intorno: dopo Quasi amici il buddy movie che parla di disabilità ha visto la genesi di un vero e proprio filone produttivo (dalle fortune e dalle spinte discontinue) fatto di imitazioni dell’originale, ispirazioni poco ispirate e variazioni sul tema. Proprio in questa prospettiva si inserisce anche Beautiful Minds di Bernard Campan e Alexandre Jollien con risultati, però, decisamente modesti e dimenticabili.
Di certo a Beautiful Minds va riconosciuto il merito di non cadere né nel buonismo né nel pietismo, ma il risultato è comunque un’insipida via di mezzo in cui l’aspetto riflessivo è banalmente generico e poco focalizzato. Il problema di Igor è anche quello di non accettare il suo corpo, ma è uno dei tanti piccoli temi che, con peso equivalente, costellano il film indicandone direzioni possibili ma mai perseguite fino in fondo.
Più sbilanciato verso il dramma che verso la commedia, Beautiful Minds si sorregge sulle spalle di Alexandre Jollien, sulla sua presenza scenica, sulla sua figura, mentre Campan è tanto esile e trasparente quanto il suo personaggio. Da questo rapporto impari viene fuori un film dallo spirito ottimista ma senza sostanza, che si affida decisamente di più all’interpretazione di chi guarda (che a forza ci troverà un suo significato) che alle sue stesse capacità.
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