Beautiful Minds, la recensione

Beautiful Minds è un film dallo spirito ottimista ma senza sostanza, che si affida decisamente di più all’interpretazione di chi guarda che alle sue stesse capacità.

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La recensione di Beautiful Minds, al cinema dal 24 febbraio

È inutile girarci intorno: dopo Quasi amici il buddy movie che parla di disabilità ha visto la genesi di un vero e proprio filone produttivo (dalle fortune e dalle spinte discontinue) fatto di imitazioni dell’originale, ispirazioni poco ispirate e variazioni sul tema. Proprio in questa prospettiva si inserisce anche Beautiful Minds di Bernard Campan e Alexandre Jollien con risultati, però, decisamente modesti e dimenticabili.

Rimescolate la carte, il ruolo del prototipale personaggio burbero è qui ricoperto da Louis (Bernard Campan), un becchino dalla vita monotona e dall’espressione triste, il quale per forzate coincidenze trova la sua controparte comica e positiva in Igor (Alexandre Jollien), un ragazzo affetto dalla nascita da una paralisi cerebrale ma totalmente autonomo, appassionato di filosofia ma carente di esperienze di vita. In un road movie su un carro funebre i due impareranno a conoscere l’altro e sé stessi, in una tanto annunciata negli esiti quanto sgonfia favoletta amicale.

Di certo a Beautiful Minds va riconosciuto il merito di non cadere né nel buonismo né nel pietismo, ma il risultato è comunque un’insipida via di mezzo in cui l’aspetto riflessivo è banalmente generico e poco focalizzato. Il problema di Igor è anche quello di non accettare il suo corpo, ma è uno dei tanti piccoli temi che, con peso equivalente, costellano il film indicandone direzioni possibili ma mai perseguite fino in fondo.

Causa o conseguenza di ciò è che ad essere poco chiaro è proprio chi sia il vero protagonista e quale sia il suo problema. Di Louis capiamo il conflitto solamente alla fine, quando lo dice chiaro e tondo in un discorso a una platea e si tratta tra l’altro di qualcosa che il film non suggerisce mai, che rimane sempre nascosto. Di Igor invece, decisamente meglio caratterizzato, sappiamo che vuole sentirsi davvero libero e adulto ma in fondo quella libertà che desidera è qualcosa che lui afferma continuamente. C’è insomma qualcosa che stride, che non torna. C’è, in potenza, una buona materia narrativa ma questa sembra più utilizzata per richiamare un’idea di film (il filone sopracitato) che come premessa necessaria per una storia che ha un’esigenza tutta sua e la voglia di parlare di qualcosa di specifico.

Più sbilanciato verso il dramma che verso la commedia, Beautiful Minds si sorregge sulle spalle di Alexandre Jollien, sulla sua presenza scenica, sulla sua figura, mentre Campan è tanto esile e trasparente quanto il suo personaggio. Da questo rapporto impari viene fuori un film dallo spirito ottimista ma senza sostanza, che si affida decisamente di più all’interpretazione di chi guarda (che a forza ci troverà un suo significato) che alle sue stesse capacità.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Beautiful Minds? Scrivetelo nei commenti!

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