Beata te, la recensione

La più convenzionale delle trame diventa un film dalla scrittura intelligente, le idee complicate e con un cripto-protagonista memorabile

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione del film Beata te, in onda su Sky dal 25 dicembre

Quando Fabio Balsamo entra in scena vestito da aviatore degli anni ‘40 sembra Porco Rosso. E anche poche scene dopo, con un bell’abito da giorno sempre anni ‘40 e piccoli occhiali tondi da sole, baffi e completo bianco ricorda lo stile e la statura del protagonista del film di Miyazaki con una spallata di commedia sottile ma non per questo lieve. Ed è fantastico!

Tutta questa storia di una donna comune che si trova in casa l’arcangelo Gabriele per l’annuale annuncio di maternità (a quanto pare ogni anno una donna viene inseminata dallo Spirito Santo e ora tocca a lei) e che ha 14 giorni per decidere cosa fare, è uno dei racconti migliori che abbiamo visto sui dubbi, le ansie e i turbamenti di una donna di 40 anni davanti all’idea di essere madre. Tutto l’intreccio ruota intorno a tempi e meccanismi della maternità (i 14 giorni scandiscono quanto la separi dalla prossima ovulazione e nella storia partorisce uno spettacolo teatrale) come maniera per rappresentare il contrasto moderno di una donna libera, autonoma, in controllo della propria vita dentro ad una società in cui la scelta di non avere figli non è una ribellione, che deve per questo capire quale spazio possa esistere per qualcosa di ancestrale che sente dentro.

Anche per questo Beata te è un film difficilissimo, un’operazione in teoria molto tradizionale, centrata sulla mitologia cristiano-cattolica, per un pubblico familiare a cui parlare proprio di famiglia senza nulla di corrosivo o rivoluzionario ma anzi toccando tutte le possibili convenzioni, eppure al tempo stesso anche sveglio e originale (nei limiti dell'adattamento di un'opera teatrale). E che sia “generalista” lo si vede da come flirta con i luoghi comuni della messa in scena televisiva, specialmente l’uso delle musiche o della scenografia, tarati sul noto e sul confortante alto borghese (tutto intorno al Colosseo), mirati a ribadire quel che già sappiamo sui personaggi e gli svolgimenti (la musica raddoppia il tono della scena, la scenografia raddoppia il carattere di chi ci si muove dentro). Con questa impostazione e con un intreccio simile, Beata te poteva tranquillamente diventare un qualsiasi scialbo film per la tv gratuita, invece trova un senso per un pubblico diverso grazie ad una scrittura sveglia, acuta e dotata di una caratteristica rarissima: è piena di voglia di scrivere un film.

Certo non tutto è curato alla stessa maniera, e il mondo intorno ai personaggi principali è molto generico, per non dire tirato via. Tuttavia la caratterizzazione dell’arcangelo Gabriele, insieme alla scelta di Fabio Balsamo (facilmente uno dei migliori e più sottovalutati attori in circolazione) bastano a fare il film. Qualcuno (Paola Randi) per una volta non gli affida il solito personaggio rimastogli appiccicato dal lavoro con la TheJackaL e Balsamo ripaga inventando un tono unico che esalta quanto di buono è stato messo in sceneggiatura da Lisa Nur Sultan e Carlotta Corradi. Il suo è un tipo di arcangelo sulla Terra mai visto, dai toni moderatamente asessuati ma anche con un dandismo da vita eterna, il gusto per il bello e le note comiche giuste. Sarebbe stato facile farne il più classico degli “amici gay”, sempre accanto alla protagonista e amorevole ma senza finalità romantiche o sessuali, invece gareggia con Serena Rossi fino ad affermarsi come il vero cripto-protagonista della storia. Come sempre in questo tipo di film infatti, fin da La vita è meravigliosa, è la personalità di questi personaggi che poi fornisce una personalità al film stesso. E la personalità di Beata te è tutta in questo eccezionale angelo-dandy dall’accento sudamericano, il fare da uomo di mondo e ma i modi eccezionalmente italiani.

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