Baywatch, la recensione
Metacinematografico come i migliori adattamenti di serie tv, Baywatch ha troppa paura di non essere capito e punta sui corpi anche per la comicità
Mentre la serie era principalmente una festa di corpi femminili, messi in mostra per essere ammirati, il film è molto più centrato sui corpi maschili, a partire dal suo inizio, quando Zac Efron, asciutto e potente, è messo direttamente a confronto con la massa di Dwayne Johnson in una serie di prove fisiche. È uno dei modi in cui il tenente Mitch Buchannon dimostra al campione olimpico di nuoto spedito a fare servizio sociale come bagnino che lui lì non conta niente e che deve adeguarsi alla gerarchia dei bagnini, la “famiglia”. Tutto il film che seguirà sarà la classica “indagine” (grandi virgolette) da episodio di Baywatch condita di autoironia, in cui i corpi dei maschi sono martoriati o esaltati, picchiati, umiliati e messi in condizione di desiderare ardentemente quelli femminili.
Come in una commediaccia natalizia italiana uno dei momenti più forti prevede l’incastro dei genitali eccitati in una panca da mare, ma non si contano le battute, il vomito, il grasso dei cadaveri che cola o i vestiti femminili su corpi maschili. Tutto sempre addosso agli uomini mentre le donne rimangono ai margini, ammirate ed esibite, motivo del contendere ma mai parte della contesa, mai parte dell’azione, delle prove fisiche o degli incastri della storia. La Pamela Anderson di questo film è Zac Efron.
Ed era evidente che in tutto questo non potesse non trionfare il corpo per eccellenza del cinema dei nostri anni, quello fuori misura di Dwayne Johnson, figlio diretto di quelli degli action hero degli anni ‘80, per stazza e caratterizzazione. Lo è così tanto da non poter abitare nessun genere che non sia l’azione, anche quando fa la commedia. Come Stallone, Schwarzenegger e soci prima di lui, anche The Rock se fa commedia deve essere una commedia “meta” come è Baywatch, deve fare riferimento al fatto che è un eroe d’azione nei panni di un personaggio divertente. Può essere un culturista scemo o la fatina dei denti, comunque dovrà partire da quel corpo, dovrà essere un eroe d’azione in un film che lo prende in giro o dovrà fare ironia sul suo essere fuori posto, come faceva Schwarzenegger in Junior o I Gemelli.
Tuttavia, nonostante l’impressione sia che dopo 21 Jump Street (e Starsky e Hutch prima di lui) non ci possa essere più un adattamento di una serie tv che non sia una forma di commedia metacinematografica, Baywatch sembra troppo insicuro per far ridere davvero. Il film di Seth Gordon ha bisogno di dichiarare apertamente la propria allegoria, ha bisogno di dire “Non siamo mica in una serie tv!”, svelando il gioco, ha bisogno di ironizzare sull’uso del ralenti come se non bastasse farlo e basta. Così si perdono un po’ anche le trovate più raffinate (c’è un uso pessimo della computer grafica come all’epoca e l’intreccio o i villain sono perfettamente naive), soprattutto si perde l’idea di fare un film che abbia senso a sé. È chiaro che Baywatch è diretto a chi conosceva la serie e ne vuole ridere, ma così è un film che ha senso solo rispetto ad essa, non ha nessuna capacità di reggersi sulle proprie gambe e i pochi momenti in cui cerca una propria identità la trova nella commedia più bassa, scema e nemmeno provocatoria. Né divertente davvero, né corrosivo davvero.