Battletoads è come un masala indiano | Recensione

Battletoads è un piacevole tuffo nel passato, ma non si tratta di un gioco pateticamente nostalgico, fermo a due decenni fa

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Battletoads è come un masala indiano | Recensione

Se Battletoads fosse un film, sarebbe senza alcun dubbio un masala indiano, genere caratteristico che mescola dramma, commedia, musical, horror e scene d’azione, un’alternanza di stili e di toni apprezzatissimo nello stato asiatico, più indigesto altrove.

Recuperando il concept originario della saga, RARE ha estremizzato il carattere ibrido che ha sempre contraddistinto ogni iterazione dell’IP, consegnandoci un gioco solo nominalmente congenere dei vari Street of Rage e Final Fight. Bisogna avere una certa esperienza con i videogiochi, ed una certa età ormai, per sapere che ci troviamo di fronte ad una vera e propria saga, il cui debutto risale al 1991, in letargo già dal 1994, anno di Battletoads Arcade, ultima campagna punitiva concessa al terzetto di rospi antropomorfi protagonisti, prima del grande letargo durato più di venticinque anni.

Ben prima che Dark Soul imponesse il suo trend di sadismo ed intransigenza, ci pensava proprio il brand dello sviluppatore britannico ad insegnare ai videogiocatori di tutto il mondo quanto potesse essere ingiusta e difficile la vita.

[caption id="attachment_216325" align="aligncenter" width="1000"] Cinque ore sono più che sufficienti per concludere l’avventura[/caption]

Questo nuovo capitolo rende onore alla tradizione. Sebbene il livello di difficoltà più basso renda l’esperienza approcciabile praticamente da chiunque, non bisogna mai abbassare la guardia, dal momento che basta un attimo di disattenzione per ritrovarsi a fissare con un certo disappunto la schermata di game over.

Nelle sue sezioni da beat ‘em up, Battletoads dimostra di saperci fare, pur senza avere alcun interesse a rivoluzionare il genere. Il combat system è classico, ma profondo ed efficiente. Non fosse per un bestiario ridotto ai minimi termini, caratteristica che tende le battaglie vagamente simili tra loro sul lungo periodo, tutto funziona a dovere, permettendo agli utenti più smaliziati di destreggiarsi con diverse tecniche offensive. Rash, Zitz e Pimple incarnano alla lettera gli stereotipi del lottatore veloce ma debole, di quello con i parametri più equilibrati, del classico energumeno tutto potenza e scarsa reattività.

Oltre agli attacchi base e speciali, spesso utili per superare le difese nemiche, la proverbiale lingua allungabile dei rospi tornerà utile in più di un’occasione. Catturare le mosche, tanto per cominciare, rimpinzerà la barra di salute. Inoltre potrete recuperare collezionabili sparsi per gli scenari o bloccare momentaneamente i nemici sul posto, tecnica utilissima per gestire il flusso di attacchi da cui difendersi.

Battletoads, in questo senso, sceglie un approccio peculiare. Icone e indicatori segnalano con estrema chiarezza quali nemici sono sul punto di colpirvi. Subire danni è relativamente difficile quindi, ma nel caso in cui vi farete cogliere impreparati, vedrete svuotarsi sensibilmente la barra di salute. Ogni errore, dunque, vi costerà carissimo e metterà in discussione l’intera partita.

Come anticipato, tuttavia, il gioco si prende diverse libertà, soprattutto nella seconda parte dell’avventura, quando l’interferenza di altri generi diventa preponderante. Puzzle da risolvere, sezioni platform, livelli da bullet hell, ovviamente un giro sulle famose moto futuristiche dei Battletoads evitando ostacoli e preoccupandosi di non finire in fondo ai burroni.

Se la varietà è ben gradita, duole constatare che nessuna di queste fasi alternative riesca a distinguersi particolarmente. Vuoi per piccole magagne dei sistemi di controllo, vuoi per un level design poco più che basilare, il divertimento non è sempre garantito in queste escursioni lontane dal genere dei picchiaduro a scorrimento.

Il rammarico per una produzione che avrebbe potuto essere ancor migliore raddoppia considerando altri due fattori. Da una parte Battletoads funziona alla grande tanto in singolo, quanto in co-op. In solitaria si può alternare in qualsiasi momento il controllo di uno dei tre rospi, a seconda dell’andamento della battaglia. In compagnia, oltre all’ovvia maggior frenesia dovuta alla presenza di più avatar e avversari, è possibile imbastire rudimentali strategie che regalano qualche soddisfazione.

[caption id="attachment_216326" align="aligncenter" width="1000"] Raccogliere tutti i collezionabili, imprescindibili per ottenere tutti gli achievement, richiederà grande spirito di osservazione[/caption]

Dall’altra, merita un plauso l’aspetto artistico creato per l’occasione da RARE. Lo stile visivo rappresenta una piccola rivoluzione per la saga, visto che i colori accesi e le forme arrotondate si allontano molto dalle tinte dark dei vecchi capitoli. Ciononostante, soprattutto su Xbox One X, si resta ammaliati dalla pulizia dell’immagine, dalle animazioni perfette, dal frame rate granitico. Inoltre, anche la sceneggiatura dimostra carattere. Demenzialità e non-sense, da sempre marchi di fabbrica del brand, tornano con prepotenza, impacchettando un plot volutamente prevedibile, ma vivacizzato da un gran numero di spassosissimi siparietti comici.

Battletoads è un piacevole tuffo nel passato. Non si tratta di un gioco pateticamente nostalgico, fermo a due decenni fa. Lo stile grafico, la sceneggiatura, l’ibridazione con altri generi testimoniano la volontà di traghettare la saga nel nuovo millennio, di farla conoscere ed apprezzare anche a chi si intrattiene giornalmente guardando le puntate di Rick e Morty, del resto il gusto per la demenzialità e il trash è quasi identico.

Ciononostante non aspettatevi un titolo perfetto o in grado di settare nuovi standard. Fruito in uno di questi pomeriggi di fine estate è perfetto, soprattutto se con gli amici giusti, ma guai ad aspettarvi molto di più.

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