Battaglia: Ragazzi di morte, la recensione

Abbiamo recensito per voi Battaglia: Ragazzi di morte, di Recchioni, Vanzella, Befani e Minotti

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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La testata dedicata da Editoriale Cosmo alle avventure inedite di Pietro Battaglia è giunta lo scorso 31 luglio all'ottavo capitolo. Con Il Pio Padre era chiaro che Roberto Recchioni e Leomacs, creatori del vampiro siciliano, avessero deciso di “alzare l'asticella” sotto ogni punto di vista, dalla forma ai contenuti. Così è arrivato Dentro Moana, e ora Ragazzi di morte. Il titolo è una sottigliezza, giocato per antitesi sul primo romanzo di successo di Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, datato 1955. La trama è costruita invece sull'ultimo, incompiuto, Petrolio, dato alle stampe nel 1992.

La truculenta copertina di Leomacs, per i colori di Luca Bertelè, introduce con estrema efficacia il soggetto di questo nuovo episodio, incentrato su uno dei maggiori artisti e interpreti del secolo scorso, assassinato il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia. È nel DNA di Battaglia, nato negli anni '90, scavare negli angoli più bui della storia e della cronaca italiana, fornire una risposta a quegli eventi che non ne hanno mai avuto una. È fisiologico al suo progetto inseguire una verità che ci è sempre stata negata o di cui ce n'è stata fornita una di comodo. Ancorata a una solida documentazione, la versione dei fatti è ovviamente romanzesca, il protagonista ne è lo strumento terminale, ma l'effetto è sempre di estremo impatto e generoso di riflessioni.

Per il tema affrontato, quest'albo sfiora il vertice della produzione precedente, incarnando l'essenza della serie. L'argomento è forse il più complicato di quelli sviscerati finora e il più delicato, anche quarant'anni dopo l'enigmatica morte di Pasolini, per la quale ha pagato solo Pino Pelosi, comprimario imprescindibile del racconto. Recchioni e Luca Vanzella (autore della sceneggiatura) ai testi lo narrano con distacco esemplare, da veristi dell'Ottocento, e fanno proprie alcune massime del poeta: “Chi si scandalizza è sempre banale: ma, aggiungo, è anche sempre male informato”; e ancora: “Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta di essere scandalizzato è un moralista”.

Perché Ragazzi di morte vuole scandalizzare e non curarsene nel farlo. Ci restituisce un'immagine forse ingiusta, esasperata del grande scrittore ma fedele al suo credo. Affronta ogni aspetto sgradevole, imbarazzante, disdicevole del contesto che raffigura, ma non rinuncia alle manifestazioni di tenerezza tra il letterato e la madre, o alle premure di questi verso i suoi ragazzi di strada. Nel farlo ne celebra la levatura culturale, l'invidiabile onestà intellettuale. Quasi venendo meno all'imparzialità ostentata per tutta l'opera, gliene cede un terzo per una vendetta furiosa e terrificante verso i propri carnefici, consumata attraverso le zanne di Battaglia.

Il bianco e il nero, il contrasto netto e deciso che emerge dai toni, dalle matite e dalle chine di Valerio Befani e Pierluigi Minotti, sono la metafora perfetta della figura pasoliniana, contesa e dilaniata tra luce e buio, ricchezza e miseria, immensità dello spirito e grettezza della carne. Il segno immediato e più morbido di Minotti, che si concentra sulla vicenda passata, e quello più nervoso, caratterizzante di Befani, focalizzato sul presente, ci regalano tavole intense, emozionanti. È una regia sottile, fragilmente legata alla minima variazione dell'inquadratura e per questo impeccabile. Il successo è sinonimo di tecnica e talento, studio e dote innata, come il maestro assoluto che queste pagine ritraggono.

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