Bastarden (The Promised Land), la recensione | Festival di Venezia

Con Bastarden, Nikolaj Arcel usa il dramma storico per porre Mads Mikkelsen come araldo dell’ordine contro il caos della natura

Condividi
Spoiler Alert

La recensione di Bastarden di Nikolaj Arcel, in concorso al Festival di Venezia 2023

Il Settecento e Nikolaj Arcel: un binomio già visto undici anni fa, quando il regista danese portò a Berlino gli intrighi di corte di Royal Affair, poi candidato all’Oscar come miglior film straniero. Il cineasta di Copenaghen ritenta l’esperimento oggi con Bastarden, recuperando dal suddetto film non solo l’ambientazione nel secolo dei lumi, ma anche il carismatico protagonista Mads Mikkelsen.

Dalla corte alla brughiera

A dispetto della premessa simile, Bastarden si distingue subito per un’ambientazione che, all’opulenza dei palazzi nobiliari, preferisce le sterili asperità della brughiera dello Jutland. Lande desolate e inospitali, che il re vorrebbe vedere coltivate; ad assecondare i suoi desideri interviene un reduce di guerra, il capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen). Un soldato abile con spada e pistola, certo molto meno con la favella, mosso da un intimo desiderio di conquistare un titolo nobiliare che il suo status di bastardo gli ha, appunto, precluso dalla nascita.

L’ambizione del veterano, che s’imbarca nell’impresa forte di una misera pensione, si scontra con quella dello spietato latifondista Fredrik de Schinkel, desideroso di mettere le mani su quel deserto di roccia e pietra che, al momento, risulta essere esclusiva proprietà del re. Gli alleati di Kahlen si contano sulle dita di una mano; tra essi spiccano il reverendo Anton Eklund (Gustav Lindh) e Ann Barbara (Amanda Collin), un tempo serva di De Schinkel scappata dopo aver patito anni di abusi da parte del crudele padrone.

Paesaggi dell’anima

Sin dalle prime scene, Bastarden si offre all’occhio dello spettatore come un affresco dipinto con la meticolosa perizia dell'autenticità storica, teatro ideale per la battaglia millenaria tra aspirazioni individuali e potere collettivo. Adattando in collaborazione con Anders Thomas Jensen un romanzo di Ida Jessen, Arcel crea un racconto che è sia grandioso nel suo respiro corale che intimo nella sua risonanza emotiva, catturando la desolata bellezza della brughiera dello Jutland e la lotta umana che pulsa al suo interno.

Visualmente suggestivo come un quadro di Friedrich, Bastarden tratteggia paesaggi desolati ma mozzafiato, fotogrammi permeati da una bellezza malinconica e inquietante che rispecchia le vite segnate e solitarie dei suoi abitanti; in questo senso, Bastarden è un western europeo e intimista, un’immersione dolente in un'epoca in cui il costo dei sogni era spesso pagato in sangue e sacrificio. Non è semplicemente un dramma storico; è una riflessione commovente su quanto lontano si possa andare in nome dell’ambizione personale e del proprio senso giustizia.

Apollineo vs dionisiaco

Come con Royal Affair, anche qui Arcel si addentra nella storia danese, portando alla luce vicende di individui intrappolati nei confini sociali del loro tempo; eppure, il messaggio di Bastarden trascende le epoche. Quando Frederik de Schinkel (un Simon Bennebjerg carico di un’energia dionisiaca dai tratti luciferini) sfida provocatoriamente Kahlen affermando la supremazia del caos sull'ordine, mette in evidenza una delle tensioni centrali della storia: l'eterna lotta tra l’essenza caotica e incontrollabile della natura e i tentativi dell'uomo di imporre ordine e struttura. Una dichiarazione che riflette il conflitto interno del protagonista, che cerca di navigare tra le sue aspirazioni di nobiltà e la struttura di potere oppressiva e folle cui esse fanno riferimento.

In questo senso, Schinkel (depauperato del nobiliare “de”) rappresenta il disordine ferino, la crudeltà cieca, il caos nell’accezione più distruttiva e feroce. Torna alla mente l’Antichrist di Von Trier, con quel “caos regnante” enunciato da una volpe immersa in una natura imperscrutabile quanto quella di Bastarden, seppur più intrisa di orrore magico. La visione di Von Trier (qui produttorecon la sua Zentropa) di un mondo senza guida, senza limiti e sprovvisto di verosimiglianza, trova eco nella sfida di Schinkel a Kahlen. Permane, infatti, la sensazione che ogni tentativo di imporre ordine o trovare significato nell’esistenza sia destinato a fallire di fronte alle forze caotiche dell'universo.

“Noi facciamo piani, e Dio se la ride”

Se il caos emerge come forza ineluttabile con cui gli esseri umani devono fare i conti, esso reca con sé anche l’imprevedibilità del sentimento che sboccia tra Ludvig e Ann Barbara, contrario ai piani matrimoniali dell’uomo. Un legame che fa virare il racconto verso tinte più tenui, addolcite ulteriormente dall’irruzione della piccola nomade Anmai Mus (Melina Hagberg) nella vita del granitico Ludvig. A dispetto di ciò, Bastarden ha la sobrietà necessaria per non sprofondare mai nel melodramma più melenso, forte delle scarne e raffinatissime prove attoriali di Mikkelsen e Collin.

E proprio Mikkelsen, con quei lineamenti incisi nella pietra così sapientemente solcati di pianto, assurge a paesaggio umano, perfetta personificazione dell’indomabile fascino delle brughiere dello Jutland. Sopraffatto dalla natura (e, in un certo senso, dalla forza pro attiva del femminile che lo circonda), finisce per incarnarne il potere resiliente e trionfante in un finale che, seppur nella sua sottile amarezza, ha il sapore di una vittoria inattesa e, finalmente, autentica.

Continua a leggere su BadTaste