Barry (prima stagione): la recensione
Le nostre impressioni sulla nuova serie della HBO
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Barry, nuova proposta della HBO, funziona secondo canali che non sono immediatamente riconoscibili dallo spettatore, perché giocano sull'esasperazione arguta e consapevole dei toni e dei generi. Il dramma più cattivo e la commedia più sottile si incontrano sulla linea del grottesco, oscillando ora da una parte ora dall'altra, finché, come in altri prodotti ricercati come Atlanta, tutto diventa semplicemente possibile. La serie creata da Alec Berg e Bill Hader, andata in onda per otto brevi puntate sull'emittente, tende allora a rigettare qualunque senso immediato di soddisfazione per lo spettatore, dove invece è proprio nella mediazione tra generi opposti che lo show è in grado di trovare una propria identità. Talvolta troppo sottile, talvolta troppo respingente, ma anche capace di exploit decisamente soddisfacenti.
Sarebbe semplice definire Barry una classica comedy, una di quelle di stampo cinico, carica di battute argute e dialoghi fulminanti. In realtà non lo è, non del tutto almeno. E non è nemmeno una dark comedy, sebbene questa sia forse la definizione che più si avvicina alla realtà. Il lato comedy non è così marcato. Si cerca di far ridere e si ride, ma per una strana legge del contrappasso ogni volta che lo show si lascia andare alla leggerezza sincera, ecco che mostra le conseguenze sul piano più drammatico. Un po' come Barry, che vorrebbe davvero abbandonare il suo lavoro da assassino, ma si trova risucchiato nel più classico degli "ultimi incarichi" (che poi non lo sono mai).
La serie conosce dei picchi intensi di drammaticità, soprattutto avvicinandosi al finale, ma quel che davvero funziona e affascina, al di là di un coinvolgimento che almeno fino a metà stagione vacilla, è la capacità di conciliare i diversi toni. È tutto bilanciatissimo, e non si può in questo non fare un paragone con Atlanta. Alec Berg e Bill Hader si alternano alla regia, ma è la presenza dietro la macchina da presa di Hiro Murai che ci offre il maggiore punto di contatto con la serie di Donald Glover (Murai è anche regista del videoclip This is America). In entrambi i casi – ma Atlanta ci riesce meglio – si tratta di raccontare piccole solitudini, tristi slanci verso un futuro diverso da quello in cui si vive.
In Barry come in Atlanta, tutto infatti si risolve nell'amara consapevolezza che la fuga non è da un luogo, o da un contesto sociale, o da una professione, ma solo da se stessi. Nelle fantasie irrealizzate e a volte ridicole di Barry, che vediamo a più riprese sullo schermo (una famiglia, una vacanza, dei figli, una storia d'amore), emerge l'amara considerazione che fuggire è impossibile. La serie è stata rinnovata per una seconda stagione, anche se l'impressione è che questi otto episodi bastino a se stessi.