Barbie, la recensione

La recensione di Barbie, il film di Greta Gerwig con Margot Robbie e Ryan Gosling, al cinema dal 20 luglio

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Barbie, il film di Greta Gerwig con Margot Robbie e Ryan Gosling in uscita il 20 luglio al cinema

Se c’era una cosa che era lecito e auspicabile aspettarsi da un film come Barbie diretto da una regista come Greta Gerwig e scritto da Greta Gerwig stessa (con Noah Baumbach), era che prendesse di petto l’impatto sociale di una bambola che nei decenni è stata un modello femminile di segni diversi, che ha rappresentato idee di femminilità anche opposte e la cui evoluzione in un certo senso ha raccontato molti dei cambiamenti della società occidentale (ma principalmente americana) con un po’ di necessaria militanza. E Barbie lo fa, ma nella maniera più blanda.

La confezione è di grande splendore e alla fotografia c’è Rodrigo Prieto (l’uomo dai colori giusti per dare al mondo di Barbie la pasta corretta, un specie di realismo giocattoloso di difficile equilibrio), è semmai la regia di Greta Gerwig, altrove bravissima, a trovarsi a disagio nel grande film per un grande pubblico che dovrebbe avere molti livelli di lettura diversi. In Barbie tutto quello che esiste sta in superficie. Tutto insieme. La storia è quella delle bambole Barbie nel mondo perfetto dei giocattoli in cui il femminismo non è un problema e le donne occupano il posto che nel mondo reale occupano gli uomini, cioè quello di comando. Un giorno però Barbie comincia ad avere pensieri di morte, i suoi talloni non sono più alzati e sembra che la perfezione che la circonda si incrini. Accade perché nel mondo reale la persona che gioca con lei ha quei pensieri, dovrà quindi andare a Los Angeles con Ken, e rimediare. Nel farlo, però, Ken scopre cosa sia il patriarcato, scopre che gli piace comandare anche se non è capace, e cerca di importare il modello a Barbieland trasformandola in Kendom. E così tutte le Barbie dovranno imparare a difendersi.  

Quella creata per Barbie è una mitologia al tempo stesso elaborata e molto poco chiara, che rispecchia il fatto che il film sia pensato per un pubblico adulto ma seguendo schemi e semplicismi da film per bambini. Non è impostato però come un cartone Pixar, in cui diversi pubblici accedono a livelli diversi di lettura, è tutto appiattito sul primo livello che racconta una storia adulta (perché parla apertamente di patriarcato e diritti delle donne) con il genere del film per bambini anni ‘80 o ‘90. La complessità è lasciata ai singoli attori o alle singole scene e nella maggior parte dei casi semplicemente non c’è (l’eccezione è come al solito l’impeccabile Will Ferrell). 

Il problema maggiore del film è che non riesce mai a creare una vera posta in gioco, non ci fa mai tenere a Barbieland e al suo equilibrio, non ci coinvolge nella lotta femminista e non ci comunica il senso di sopruso. Così quando il mondo perfetto di Barbie viene trasformato in Kendom non lo viviamo come una violenza. Il modello dichiarato dai Ken è Century City (il distretto dirigenziale di Los Angeles in cui comandano solo gli uomini) ma anche la parodia del patriarcato sembra così blanda da essere a stento un’allegoria del vero patriarcato, nonostante questo venga spiegato fino allo sfinimento come se il film temesse di non essere efficace. Gran parte di questo problema sta nelle interpretazioni di Margot Robbie e Ryan Gosling, tarati sul tono dell'assurdo e del giocattoloso (in armonia con il resto del film) ma incapaci di comunicare le reali tensioni di cui dovrebbero essere interpreti. Ci dicono di provare soddisfazione, ci dicono di essere delusi, ci dicono di essere depressi o felici ma dietro quei volti esagerati da bambola non lo percepiamo mai.

L’idea narrativa che colpisce è la maniera in cui il film afferma che per uscire dal giogo che patriarcato occorra prima di tutto riconoscerne l’esistenza e i suoi effetti. Peccato che tutto sia talmente spiegato da sembrare una lezione. Una chiusa didattica in cui tracciare a parole i giusti equilibri dei rapporti uomo-donna conferma come, a fronte di tutto l’umorismo (anche molto divertente!) e le prese in giro alla Mattel e al mondo maschilista, Barbie sia un film che non ha voglia di ridere di sé ma anzi si prende così sul serio da risultare presuntuoso. Un film che prima che intrattenere ha l’intenzione ferma di mettersi su un piedistallo ed educare le masse.

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