Banshee 4x08 "Requiem" (series finale): la recensione

Banshee ci saluta con il miglior episodio della quarta stagione: gli ultimi scontri, le ultime rivelazioni, per la serie action di Cinemax

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Spoiler Alert
Può un singolo episodio riscattare una stagione intera? Forse no, ma Requiem, che tra le altre cose è anche il series finale di Banshee, ce la mette tutta per raggiungere questo obiettivo. Certo, le molte sottotrame rimaste aperte lo aiutano a costruire un'ora serrata, carica di emozioni, violenza, rivelazioni e addii. La serie di Cinemax torna ad essere se stessa come mai era stata nei precedenti sette episodi, e non manca all'appuntamento più importante, quello con le risposte e gli inevitabili confronti-scontri. Per una stagione che raramente ci ha dato la sensazione di avvicinarsi alla chiusura di un percorso, un episodio conclusivo che percorre una strada opposta, parte forte e solo negli ultimi minuti si adagia su un sentimentalismo sporcato da un'inaspettata vena di speranza.

Jonathan Tropper, creatore della serie, torna a scrivere il finale della sua sanguinolenta creatura, e la sensazione è quella di trovarsi di fronte a una scaletta da rispettare rigidamente per dare a ognuno il suo posto e a ognuno il suo finale. Anche qui, è la scomoda eredità delle precedenti puntate. Comunque sia, depenniamo ben presto tutte le voci – e non sono poche – dalla lista. I neonazisti guidati da Calvin vengono rimessi presto in riga e ricondotti all'ordine, mentre per il fratello di Bunker rimangono solo la rabbia e l'umiliazione. Proprio Bunker compie la scelta più sofferta uccidendo il fratello. Il confronto con Brock, che intuisce subito cosa è successo, serve anche a non lasciare particolari ombre su Bunker, che si affianca a lui nella difesa della città.

Come detto, una conclusione si impone per tutti, ed è quindi con metodica puntualità che Hood trova il collegamento decisivo tra la morte di Rebecca e Proctor. La serie imbastisce il terreno per lo scontro finale, la sfida attesa per anni, l'inevitabile confronto, e poi scarta all'ultimo secondo convogliando la responsabilità per la morte della giovane su Burton. Per certi versi una scelta di questo tipo potrebbe apparire out of character per un personaggio che da sempre ha agito all'interno degli stretti limiti imposti dal suo ruolo, senza mai compiere scelte autonome. Eppure la accogliamo con soddisfazione, anche perché – come sospettavamo già la scorsa settimana – la storyline di Rebecca sembrava essersi conclusa troppo bruscamente con l'addossamento delle responsabilità ai satanisti.

E quindi qui, come nell'assalto di Ana, Sugar e Job al cartello e a Proctor, torna l'azione fracassona e un po' insensata: che meraviglia, ne avremmo voluta di più. In mezzo a tanti personaggi spezzati, stanchi, sconfitti, Ana (o Carrie, come vuole essere chiamata) è emersa alla grande come il vero personaggio forte della stagione. Sia Proctor che lo stesso Hood si sono lasciati trascinare dal fantasma di Rebecca per molto tempo, e solo le circostanze li hanno spinti verso una risoluzione di qualche tipo. Ana invece ha preso la situazione in mano, anche dove non le era richiesto, aiutando tra le altre cose Job a non piangersi più addosso. Tra i molti addii di Hood, quello con Ana è il più sentito e riuscito.

Ed è vero che il mancato scontro con Proctor è una sorpresa, ma per quello che era stato raccontato finora sarebbe sembrato fuoriluogo e inserito ad hoc proprio perché atteso. Certo, rimane l'idea che si sarebbe potuto gestire in tutt'altro modo questi otto episodi, ma ormai è andata così. Proctor muore (?) off-screen, a modo suo, in un finale che quasi riprende quello di Scarface. Il resto sono i congedi inevitabili tra i personaggi che, più che simbolicamente, escono dalla porta del locale di Sugar nel quale quattro anni fa partì tutto. Non scopriamo il nome di Hood, anche se la serie in più di un momento sembra sul punto di fare un accenno, ma in fondo non importa e non ci interessa.

Nel vendicare la morte di Rebecca, e soprattutto nel sentire di dover tenere fede alla promessa fatta a sua figlia, Hood ha trovato la forza di perdonare se stesso per la scomparsa della giovane, ma anche di Siobhan. In un finale più ottimista di quello che pensavamo di vedere, Hood si dirige in moto verso l'orizzonte – c'è qualcosa del finale di Sons of Anarchy – liberandosi della città che lo aveva intrappolato per tanto tempo (e viceversa).

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